“Maze runner – Il labirinto”: una distopia corale dai tratti horror

L'esordiente Wes Ball porta al cinema il primo capitolo della trilogia best-seller di James Dashner

Un film di Wes Ball. Con Dylan O’Brien, Kaya Scodelario, Thomas Brodie-Sangster, Will Poulter, Patricia Clarkson. Azione, 113′. USA 2014

Thomas, senza ancora sapere o ricordare di chiamarsi così, si ritrova intrappolato in un ascensore che sale verso l’alto per arrivare alla Radura. Lì incontra altri ragazzi che come lui non ricordano nulla del proprio passato e che hanno fondato una piccola comunità con le sue regole. La numero 1 dice che non si può uscire dalla Radura: intorno ad essa si snoda il Labirinto, popolato dai letali Dolenti, a cui nessuno è mai sopravvissuto.

 

Che dire, le distopie oggi spopolano, in libreria come al cinema, e non serve un genio per capire cosa piaccia al pubblico – soprattutto giovane – di questo filone che sta vivendo una nuova giovinezza. Eroi under20, mostri, minacce nascoste, scenari post-apocalittici.

Da “Hunger Games” in avanti è stato tutto un crescendo di società che spingono l’utopia, nata per buoni motivi presumibilmente, al limite, arrivando a chiedere alle persone scelte difficili da sopportare, estreme, inconcepibili. Quella raccontata in “Maze runner – Il labirinto” (adattamento del romanzo omonimo di James Dashner) è una delle derive più estreme.

All’inizio del film troviamo un gruppo di ragazzi in una fantomatica Radura, confinati dalle mura mastodontiche di un Labirinto che circonda il posto da ogni lato. Nessuno sa chi li abbia mandati lì o perché. Nessuno ricorda niente del passato. Solo il proprio nome, che riaffiora dopo alcuni giorni di permanenza. Quel che è certo è che, intanto che sono intrappolati, i baldi giovani – tutti maschi – si sono dati da fare, costruendo una società “perfetta”, dove ognuno ha un suo compito.

Le cose cambiano con l’arrivo della nuova recluta, Thomas. In linea con i suoi predecessori libreschi e filmici, il ragazzo non riesce proprio a mandare giù le regole, è curioso e non ha nessuna intenzione di stare a guardare mentre altri, i runner, cercano una strada per uscire dal Labirinto. Come da copione si metterà nei guai, si farà amici e nemici all’interno della comunità, diventerà una sorta di leader per quelli che, come lui, preferiscono affrontare i pericoli che si trovano “fuori”, che restarsene “al sicuro” nella Radura.

Cos’altro piace tanto (al pubblico, ma anche ai produttori) delle moderne distopie tratte dai libri? Che non sono mai avventure singole, che iniziano e finiscono nello spazio di un romanzo e quindi di un film, ma si articolano sempre in una serie di capitoli. Volete mettere le possibilità di franchising offerte da una trilogia o da una saga?

Manco a dirlo, è così anche per “Maze runner”. La fuga del gruppo capeggiato da Thomas non è che l’inizio della storia. Una volta superati i confini del Labirinto e riconquistata una parvenza di libertà, i nostri eroi si ritroveranno catapultati in una nuova avventura, più pericolosa della precedente. Quale avventura? Lo sapremo solo nella prossima puntata… pardon, film.

La storia è abbastanza avvincente da tenere chi guarda incollato allo schermo, aspettando di scoprire come andrà a finire. Tra nemici spaventosi, percorsi tortuosi, una foresta che fa paura quanto il Labirinto e misteri da scoprire mantenere la suspense piuttosto alta non è un’impresa impossibile.

I personaggi, e gli attori che prestano loro il volto, invece, sono piuttosto anonimi e insignificanti. Se in pellicole come “Hunger Games” alcuni interpreti si ergono sopra gli altri, imprimendosi a fuoco nella mente di chi guarda – tanto che, ad esempio, è difficile pensare ai libri della Collins senza vedersi davanti il volto di Jennifer Lawrence o di Woody Harrelson – qui questo non succede proprio.

In questa comunità di giovani che ogni mese cresce di uno, ma si spopola anche, di contro, per via delle azioni dei Dolenti, non c’è nessuno che si imponga all’attenzione più di tanto. Anche il protagonista, Thomas, non è che un volto, una voce nel coro. Non è detto che questo sia un male.

Il film non mi è dispiaciuto, nel complesso. Non avendo letto i romanzi sono anche abbastanza curiosa di scoprire cosa succederà, se questa specie di “selezione naturale” porterà a qualcosa di buono – onestamente ne dubito – o meno. Un’ora e mezzo di divertimento. Tutto sommato godibile. Niente di più.

 

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Roberta Turillazzi
Giornalista per passione e professione. Mamma e moglie giramondo. Senese doc, adesso vive a Londra, ma negli ultimi anni è passata per Torino, per la Bay area californiana, per Milano. Iscritta all'albo dei professionisti dal 1 aprile 2015, ama i libri, il cinema, l'arte e lo sport.

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