Un film di Haifaa Al-Mansour. Con Elle Fanning, Bel Powley, Maisie Williams, Tom Sturridge, Douglas Booth. Drammatico, 120’. USA, 2017
La storia di Mary Godwin Wollstonecraft, figlia di un filosofo e libraio londinese e della prima teorica del femminismo, del suo incontro con il poeta Percy Bysshe Shelley, del loro amore anticonformista, della vacanza in Svizzera, a Villa Diodati, assieme al maudit Lord Byron, al suo medico Polidori e alla sorellastra di Mary, e della notte in cui si sfidarono nella creazione di un racconto gotico. Nacque così Frankenstein.
Ci sono dei momenti o delle esperienze che segnano così profondamente la vita di una persona da diventarne lo spartiacque, il punto rispetto al quale pensiamo che c’è stato un prima, e un dopo. Riprendendo un titolo cinematografico, potremmo parlare di slinding doors.
Quello che definisce ogni scrittore degno di questo nome, indipendentemente dal successo, è la forza e il coraggio di guardarsi dentro, non temendo di affrontare i propri demoni né di restare sempre fedele a se stesso.
“Mary Shelley” di Haifaa Al-Mansour non è solamente un tradizionale quanto prevedibile biopic sull’autrice di “Frankenstein”, quanto il racconto del viaggio fisico ed esistenziale che portò Mary Godwin Wollstonecraft (Fanning) a capire prima di tutto se stessa, e a diventare donna e scrittrice.
Elle Fanning si conferma giovane veterana del cinema internazionale, con una performance toccante, intensa e matura. L’attrice si cala nel personaggio con grande cuore, passione e personalità, risultando credibile e autentica, senza mai eccedere nei toni e nello stile recitativo.
Nonostante la ricchezza di temi e spunti narrativi – tra gli altri, una ribellione filiale, una struggente storia d’amore, il dolore di una madre, i travagli di un artista – il film convince solo a tratti.
La sceneggiatura tende infatti a essere un po’ troppo prolissa e dispersiva in certi punti, peccando invece di approfondimento verso alcuni personaggi “secondari” – come Lord Byron (Sturridge) e il dottor John Polidori (Hardy) – dal grandissimo potenziale inespresso.
La regista Haifaa Al-Mansour mostra talento e una chiara identità autoriale nel dirigere la pellicola, ma pecca però in esperienza e furbizia, allungando troppo il brodo e perdendo quindi di forza e intensità mano a mano che i minuti passano.
In ogni caso, dopo aver visto “Mary Shelley” potreste essere tentati di leggere – o rileggere – “Frankenstein”, avendo una comprensione maggiore della sua autrice e della società in cui il dottore e la sua creatura hanno preso forma.
Il biglietto da acquistare per “Mary Shelley” è:
Nemmeno regalato. Omaggio. Di pomeriggio. Ridotto. Sempre.