“Maniac”: un cast stellare per una serie non tanto innovativa

La regia di Cary Fukunaga è sicura e coerente, ma si avvertono le riprese da film e serie del passato

Una miniserie creata e diretta da Cary Fukunaga. Con Emma Stone, Jonah Hill, Justin Theroux, Sonoya Mizuno, Gabriel Byrne, Sally Field. Stati Uniti, 2018. 10 episodi

A metà tra gli anni 80 e un futuro lontano, due estranei, segnati da una grave depressione, accedono a una misteriosa sperimentazione farmaceutica che promette, senza complicazioni o effetti collaterali, di guarire tutte le loro malattie in modo permanente. Le cose però non vanno come previsto.

 

C’è subito qualcosa di intenso negli sguardi che si scambiano i protagonisti della miniserie in 10 puntate “Maniac”, Owen (Hill) e Annie (Stone), un legame o una connessione invisibile, forse casuale o persino inevitabile.

I nomi coinvolti costituirono, ancor prima del trailer, una pubblicità fortissima per il progetto, che si preannunciava come qualcosa di diverso per il panorama televisivo, imperdibile, l’evento dell’anno…

Ecco, se avete aspettative di questo tipo potreste restare delusi. Non perché “Maniac” sia un prodotto malfatto – anzi Cary Fukunaga (True Detective) si dimostra capace di gestisce alla perfezione gli stati di tensione all’interno e all’esterno della psiche umana – ma perché non è innovativa come prometteva di essere.

La miniserie attinge da “Se mi lasci ti cancello” per la gestione dei personaggi principali immersi in diverse situazioni surreali, da “Black Mirror” per il binomio uomo – tecnologia, con un approccio già visto nell’opera di Charlie Brooker, da “2001 – Odissea nello spazio” per alcune soluzioni di sceneggiatura, riproposte in modo quasi identico.

Le suggestioni e gli elementi visivi, incastonati nel revival anni ’80 che sembra non passare mai di moda, sono di grande impatto ma certamente già viste. Nell’arco dei dieci episodi, Owen e Annie si troveranno a condividere un’esperienza che consumerà le loro paure, gli sbagli e le colpe di una vita lontana, molto lontana dall’essere felice.

Le prime due puntate sono una sorta di ouverture, di presentazione dei protagonisti. Provenienti da famiglie allo sbando, vogliono entrambi cambiare, rivoluzionarsi, ma i tormenti del passato sembrano impossibili da superare. I primissimi piani finali raccontano uno dei migliori aspetti di “Maniac”: la coerenza registica di Fukunaga.

C’è spazio anche per altri personaggi nella sceneggiatura, personaggi che però, per quanto introducano spunti di riflessione interessanti, non sono efficaci quanto il vero nucleo dell’opera, la relazione tra Owen e Annie.

Insomma, “Maniac” vorrebbe avere uno schema caotico di visioni potentissime, ma finisce per attingere da tanti altri film e serie che l’hanno preceduto, risultando un prodotto ben fatto ma sicuramente poco originale.