di Valentino Eletti
Una mostra per scoprire le sfumature del fumetto asiatico, dalle origini ai giorni nostri. È questa, in estrema sintesi, “Mangasia: Wonderlands of Asian Comics”, a cura di Paul Gravett, che sarà aperta al pubblico, al Palazzo delle esposizioni di Roma, fino al 21 gennaio.
Un intero piano della struttura capitolina è dedicata alla mostra e a un genere che, dal continente natio, si è poi diffuso in tutt˜o il mondo.
“Mangasia” è costruita seguendo due direzioni distinte. Da un lato c’è un percorso storico che guida lo spettatore attraverso le varie fasi dello sviluppo dei manga, la cui origine è fatta risalire alle stampe giapponesi del XVII secolo, gli ukiyo-e, ovvero “immagini del mondo fluttuante” – a cui si ricollegano i fumetti contemporanei – anche quelli occidentali – con le vignette e i loro baloons.
Questa prospettiva storica evidenzia anche l’evoluzione stilistica dei disegni, il cambiamento progressivo nella disposizione del testo nello spazio narrativo, le soluzioni alternative nell’impaginazione e le diverse tecniche che i fumettisti hanno perfezionato, e perfezionano ancora oggi, attraverso l’uso delle più moderne tecnologie.
Ma è anche possibile esplorare la mostra seguendo dei percorsi tematici che fanno emergere aspetti diversi di quest’arte composita e multiforme: il rapporto tra fumetto e propaganda politica, con i casi della Cina e della Corea del Nord, la storia della censura legata sia alla dimensione erotica di molti manga che a quella più esplicitamente pulp, la tradizione epico-mitologica del “Ramayana” indiano e del “Viaggio in Occidente” cinese.
È interessante notare come “Mangasia”, per rendere l’esposizione del tema il più completa possibile, non si appiattisca a trattare soltanto opere giapponesi, ma ne esponga anche di provenienti da Hong Kong, Filippine, Malesia, Cina, India e Taiwan.
Sala dopo sala, artista dopo artista, non si può fare a meno di notare che, per quanto geograficamente simili, ogni fumetto ha una sua identità peculiare, tutta da scoprire.