“Mandy”: un trip boschivo e sanguinario con Nicolas Cage

Panos Cosmatos dirige un film che divide: per qualcuno è un futuro cult, per altri un obbrobrio

Un film di Panos Cosmatos. Con Nicolas Cage, Andrea Riseborough, Linus Roache, Bill Duke, Richard Brake, Clément Baronnet. Azione, thriller, 120′. USA, Belgio 2018

Red e Mandy vivono soli in una casa nel bosco. La loro tranquilla vita familiare viene sconvolta quando, durante una passeggiata nella foresta, Mandy viene notata da Jeremiah, l’inquietante leader di una setta deviata di cultisti. Deciso a trattenere la ragazza nella setta, l’uomo ne organizza il rapimento. Dopo aver provato inutilmente a resistere al brutale assalto dei rapitori, Red e Mandy si risvegliano legati e imbavagliati in mezzo agli adepti del culto. La situazione precipita quando ai due ostaggi viene iniettata una sostanza altamente allucinogena, che trasformerà la loro prigionia in un incubo.

 

Prima di approdare al TFF “Mandy” di Panos Cosmatos, con protagonista un inedito Nicolas Cage, ha fatto tappa al Sundance Film Festival e al Festival di Cannes, dove faceva parte della prestigiosa sezione Quinzaine.

Dando un’occhiata sul web, a ridosso della proiezione torinese, si può notare come abbia diviso nettamente la critica, sin dal primo passaggio negli States: c’è chi lo ha definito un film innovativo, provocante, ricco di citazioni e omaggi, destinato a diventare un cult, e chi lo ha liquidato come un obbrobrio, senza se e senza ma.

Ebbene il vostro inviato, dopo averlo finalmente visto, ha deciso di propendere per una terza posizione: quella della perplessità e dello sconvolgimento. E si è posto un paio di domande…

Tanto per cominciare, perché “Mandy” è stato selezionato per così tanti festival prestigiosi? Che cosa ha visto chi di dovedere (compresa Emanuela Martini, direttore artistico del TFF), nella pellicola, per decidere di includerla nel programma? E il mio caporedattore? Aveva idea di star per sottopormi a due ore di sofferenza?

Panos Cosmatos ha dichiarato di aver scritto la sceneggiatura come reazione creativa alla morte dei genitori. Data per scontara la nostra solidarietà umana al regista, non possiamo non chiederci se sarebbe stato forse meglio sfogarsi in qualche altro modo – parlando con qualcuno, magari.

Allo spettatore diversamente normale, dopo aver visto “Manday”, spetta l’arduo compito di darsi qualche risposta, resistendo alla tentazione di compiere una diabolica e sanguinosa vendetta cinematografica, magari utilizzando la stessa acetta di Cage in versione vendicatore folle.