Una serie ideata da Isabella Aguilar. Con Simona Tabasco, Lia Grieco, Guglielmo Poggi, Edoardo Coen, Alessio Lapice, Giulio Corso, Tommaso Ragno, Milvia Marigliano, Mario Sgueglia. Drammatico. Italia. 2021-in produzione
La parola Luna Park rievoca in me felici ricordi, legati alla mia infanzia e adolescenza e alla mia famiglia. I miei “poveri” genitori erano costretti a fermarsi in qualsiasi fiera con giostre esistente, per soddisfare i capricci di quel figlio che mal sopportava, invece, i musei e le città d’arte.
Per me, Luna Park significava gioia, stupore, divertimento, magia. Una meravigliosa pausa da una realtà spesso noiosa e ripetitiva. Da teledipendente, invece, mi vengono in mente i pre-serali di Rai1 degli anni ‘90, condotti da personaggi del calibro di Pippo Baudo e Mara Venier.
Questa personale divagazione era necessaria per rendervi partecipe de mio sincero rammarico da attempato recensore nel dover associare, da oggi, a questa bella parola anche un senso di noia e inutilità. Sono queste le sensazioni dominanti, dopo aver visto i sei episodi della miniserie ideata e scritta da Isabella Aguilar.
Dispiace vestire nuovamente i panni del guastafeste, criticando senza remore un progetto Netflix, e per giunta italiano, ma mi è oggettivamente impossibile elogiare qualcosa dove non ho compreso la linea narrativa, l’evoluzione dei personaggi, il senso.
“Luna Park” è una serie priva di riferimenti di genere, indicazioni stilistiche, identità. Sei ore di ibrido pasticciato. Thriller, dramma, melò si mescolano in una sceneggiatura priva di mordente, che lascia lo spettatore freddo e distaccato. E questo nonostante una vera e propria montagna russa di colpi di scena e cambi di registro.
La ricostruzione storica, quanto meno, è attenta, e lo sforzo produttivo importante si vede (l’Italia degli anni ’60 rivive nei costumi e nelle scenografie).
Dispiace molto che in una miniserie con tutti questi problemi ci sia il primo – meritato – ruolo da protagonista di Simona Tabasco. La poliedrica e talentuosa attrice napoletana ha cercato con tenacia e personalità di dare credibilità e anima al suo personaggio, e di caricarsi sulle spalle la riuscita del progetto, ma questo non è bastato.
“Luna Park” arranca fin dal primo episodio, non trovando la propria dimensione, il ritmo, una qualche forza emotiva o capacità attrattiva. Si salva, a mio avviso, soltanto “Stella” (episodio 4) dove un’intensa e inedita Ludovica Martino si prende la scena nel ruolo della madre di Nora, Stella, e vengono chiariti molti segreti e misteri.
Negli episodi 5 e 6 la storia prende una piega spionistica (all’italiana) che poco si lega con quanto visto in precedenza. E il colpo di grazia per lo spettatore, anche per il più ottimista, arriva con il finale, aperto quanto sconclusionato.
Ancora non si sa se la serie avrà una seconda stagione. In caso affermativo ci auguriamo che gli sceneggiatori siano in grado di invertire la rotta, trovare una quadra alla loro storia e compiere vere e proprie magie. Ne serviranno di belle, per ribaltare un giudizio tanto negativo e amaro, su un prodotto che non rende giustizia a un luogo simbolo del divertimento.