È il film Netflix più visto a livello internazionale, un primato mai raggiunto prima da una produzione italiana. Eppure, stando alle recensioni che si trovano online e ai commenti sui social, “Fabbricante di lacrime” di Alessandro Genovesi sembra non avere grossi pregi…
I fan del romanzo omonimo di Erin Doom, uscito per Salani nel maggio 2021, non sembrano avere apprezzato le interpretazioni di Biondo e Caterina Ferioli né tanto meno le scelte degli autori per ciò che riguarda la parte conclusiva della pellicola.
Dopo aver visto il film e letto il libro, ho messo i due “Fabbricante di lacrime” a confronto, attraverso cinque domande.
1. CI SONO DEGLI ELEMENTI IN CUI IL FILM È “MIGLIORATIVO” RISPETTO AL LIBRO?
Il film di Genovesi ha il pregio di asciugare un romanzo piuttosto lungo e ripetitivo sotto certi aspetti, tagliando e accorpando parti introspettive abbastanza monotone. In un film di due ore scarse è più facile procedere spediti verso il “cuore” dell’azione, senza girare troppo intorno alle situazioni o vederne alcune ripetersi ancora e ancora. E poi c’è la colonna sonora, che come spesso accade dà una marcia in più alla storia, accompagnando bene le immagini.
2. E IN COSA IL ROMANZO È “MIGLIORE”?
Un’ora e quarantacinque contro quasi settecento pagine: se da un lato il minor tempo permette, in senso positivo, di tagliare il superfluo, di contro costringe anche a ridurre l’approfondimento di certe dinamiche e personaggi diciamo “secondari”. Così l’amicizia tra Billie e Miki e le back story delle due sono a malapena accennate, e anche il rapporto tra Nica e la madre adottiva Anna viene molto ridimensionato. C’è chi invece esce male in entrambe le versioni: il compagno di scuola di Nica, Leonard, ha un comportamento incomprensibile sia qui che lì, e non si capisce come possa innamorarsi o cosa lo spinga a certe reazioni incontrollate.
3. LA SCENEGGIATURA È FEDELE AL ROMANZO?
Assolutamente sì, anche troppo, almeno fino al finale. Chi ha criticato la pomposità o assurdità di alcune frasi pronunciate da Rigel/Biondo e Nica/Ferioli forse ha dimenticato quello che ha letto in precedenza – oppure non lo ha letto proprio. Ebbene sì: da “Non toccarmi con questa casualità” a “Lui graffi, io cerotti” tutto viene dal libro. Gli autori hanno riportato fedelmente le parole della Doom nella sceneggiatura, dimostrandosi estremamente fedeli al materiale di partenza. Ma probabilmente sentire pronunciare a voce alta alcune frasi ne dimostra l’assurdità molto più che vederle nero su bianco…
4. C’È UN FINALE PIÙ GIUSTO E MEGLIO GESTITO?
Quello del romanzo sicuramente. A partire dall’incidente di Rigel, la sceneggiatura diverge dall’originale con risultati altalenanti. Il romanzo è più credibile, il film calca la mano. La scelta della Doom di sviluppare la storia nell’arco di più anni, quindi di collocare il processo della ex direttrice del collegio nel “futuro”, quando i personaggi sono 21enni, secondo me è sensata. Permette a tutti di crescere, di venire a patti con i traumi del passato con un minimo di tempo e respiro. Il film affretta le cose; condensa duecento pagine in dieci minuti rendendo lo sviluppo non esattamente fluido o credibile – l’uscita di Nica al processo… parliamone!
5. ADATTAMENTO RIUSCITO O DA DIMENTICARE?
Al netto di qualche criticità sul finale, secondo me è riuscito. I personaggi rispecchiano gli originali, la sceneggiatura è fedele. Se hai letto il romanzo, l’atmosfera in questo film la ritrovi tutta. E non mi sembra poco.