Caro direttore, gentile caporedattore, sento il bisogno e l’urgenza di prendermi qualche minuto per buttar giù queste righe, nonostante la frenesia della tredicesima Festa del cinema di Roma che si appresta a entrare nel vivo.
Mi dispiace comunicarvi che siete stati entrambi vittime di una fake cinematografica/ comunicativa, riguardo a “Watergate” di Charles Ferguson. E le vittime del pasticcio salgono a tre, se si conta anche il sottoscritto, costretto a sorbirsi oltre 4 ore di proiezione.
“Watergate” non è una miniserie, non è un documentario, non è una docu-fiction. Magari fosse stato qualcosa di almeno similare. Ferguson ha infatti deciso di regalare al pubblico una versione di “Un giorno in pretura” della durata di 261 minuti, utilizzando “Spira Mirabilis” come riferimento registico e stilistico e scelta.
Una vera sciagura cinematografica si è abbattuta ieri sugli ignari spettatori paganti e sugli addetti ai lavori che, muniti di coraggio, pazienza e curiosità hanno deciso di affollare la sala. È stato presto chiaro che non si sarebbero trovati davanti una miniserie quanto piuttosto un’imbarazzante e fastidiosa ricostruzione di colloqui avvenuti tra il presidente Nixon e i suoi collaboratori, nello studio Ovale.
La scelta creativa e registica ha svilito l’importanza dei dialoghi e soprattutto la gravità istituzionale e morale dei contenuti. La ricostruzione risulta davvero inutile e il cast, per quanto professionale, poco ispirato.
Charles Ferguson affronta la complessa vicenda Watergate nel modo peggiore, finendo per esasperare e far fuggire lo spettatore dalla sala piuttosto che dargli una prospettiva completa e scrupolosa sul più grande scandalo politico degli Stati Uniti. Il suo, purtroppo, è un capolavoro negativo, un film che respinge.
Lo spettatore italiano medio, per quanto volenteroso, non potrà non sentirsi estraneo al girato, non possedendo gli strumenti culturali, storici e legali per poter seguire pienamente i complessi passaggi della vicenda, tutta fondata sul diritto e sulla Costituzione americana. Il regista, troppo preso dalla sua linea, non ha pensato di fornire degli aiuti.
Nella prima parte si alternano interviste a protagonisti della vicenda e momenti di fiction che dovrebbero raccontare la genesi del caso e come fu gestita dalla Casa Bianca, fino al tragico epilogo. Nella seconda, invece, lo spettatore si sorbisce ben due ore di audizioni della commissione d’inchiesta sensoriale, che danno il definitivo colpo di grazia a questo nuovo “Watergate”.
Mi dispiace, caro direttore e caporedattore, ma dopo aver assistito a questo supplizio più che Nixon si è tentati di mettere voi sotto processo. Affettuosamente, s’intende.
Vostro, esausto, Vittorio