Se avete amato gli intrighi di palazzo e i giochi di potere del “Trono di spade” non potrete non amare il nuovo romanzo di Matteo Strukul, “Le sette dinastie“, edito da Newton Compton. Un esempio lampante di come la storia, la realtà possano superare qualsiasi trama di fantasia.
Sette famiglie, sette sovrani, sei città: questa è l’Italia del XV secolo, dilaniata da guerre, intrighi e tradimenti, governata da signori talvolta lungimiranti, ma molto spesso assetati di potere e dall’indole sanguinaria.
A Milano, Filippo Maria, l’ultimo dei Visconti, in assenza di figli maschi cerca di garantire la propria discendenza dando in sposa la giovanissima figlia a Francesco Sforza, promettente uomo d’arme. Intanto trama contro il nemico giurato, Venezia, tentando di corromperne il capitano generale, il conte di Carmagnola. Ma i Condulmer non temono gli attacchi: smascherano il complotto e riescono a imporre sul soglio di Pietro proprio un veneziano, che diverrà papa con il nome di Eugenio IV.
Tuttavia il duca milanese troverà alleati anche a Roma: sono i rappresentanti della famiglia Colonna, ostili al papa che viene da Venezia e decisi a cacciarlo dalla città. Solo l’aiuto dei Medici riesce a scongiurare la morte del pontefice, costretto però a un esilio forzato a Firenze. E mentre nel sud dell’Italia si fa sempre più cruenta la guerra tra angioini e aragonesi, il destino della penisola italica è sempre più avvolto nell’incertezza…
Se scrivere un romanzo storico concentrandosi solo un personaggio o su una famiglia – come succede di solito – è impresa ardua, immaginate cosa può essere mettere mano a un’opera che ha l’ambizione di riunire insieme addirittura sette filoni diversi, ognuno dei quali avrebbe potuto tranquillamente occupare un libro a sé.
Il limite principale delle “Sette dinastie” di Strukul, al di là dell’indiscutibile lavoro di ricostruzione svolto dall’autore reso famoso dalla serie sui Medici e dalla piacevolezza di passare da un luogo all’altro, di cambiare continuamente punto di vista, è proprio questo: vuole raccontare tante storie, troppe storie, ma nel farlo finisce per assomigliare più a una cronaca che a un romanzo.
Nel passare da una città all’altra, da una famiglia all’altra, si perde quasi del tutto la vicinanza con i personaggi. Gli eroi di queste pagine ci sembrano lontani, estranei. Non c’è tempo per entrare in sintonia con nessuno di loro, fatta forse eccezione per Bianca Maria Visconti e Ferrante d’Aragona, perché di nessuno ci viene detto abbastanza.
Il libro è una corsa a perdifiato attraverso gli anni, una sfilata ininterrotta di personaggi, eventi cruciali, piccolezze. La carne al fuoco è davvero troppa. Personalmente credo che scegliere una dinastia “principale” di cui raccontare la storia e far entrare in gioco le altre soltanto in relazione a quella sarebbe stato, per il lettore, molto meglio.