Letterario. Ridondante. Fumoso

 

L’idea di un libro sul mestiere di biblioterapeuta mi è sempre sembrata intrigante – è uno di quegli argomenti che, da lettrice, mi stuzzicano e di cui sono davvero curiosa di sapere di più.

Voglio partire da questo per dire che a “Le parole degli altri” di Michaël Uras mi sono avvicinata davvero con le migliori intenzioni, senza i miei soliti pregiudizi da: “Un libro sui libri, nel 2017, difficilmente si rivelerà un capolavoro”.

Le premesse erano buone. Alexandre, Alex, svolge la sua professione nella Parigi moderna. In cosa consiste il suo lavoro? Alex “cura” le persone attraverso i libri, o come preferisce dire lui, inizia collaborazioni con chi gli si rivolge, consigliando letture che possano aiutare a superare problemi, situazioni difficili e quant’altro.

Nel libro lo incontriamo dopo essere stato lasciato dalla fidanzata e convivente, ai ferri corti con la padrona di casa, quanto mai bisognoso di nuovi pazienti – e denaro per pagare l’affitto, che adesso non è più da dividere a metà.

I pazienti arrivano, nella forma del giovane Yann, un ragazzino rimasto muto in seguito a un incidente, della gloria del calcio francese Anthony, di Robert, uomo d’affari che ha smarrito se stesso. Le storie dei tre, e delle loro famiglie, si intrecceranno in modi sorprendenti con quella del biblioterapeuta.

Le parole degli altri” aveva buone potenzialità. Il risultato finale, però, non è completamente soddisfacente, anzi, risulta davvero pesante da leggere.

Per assurdo, il problema principale del romanzo sono proprio i libri, o meglio, il modo in cui l’autore ha deciso di utilizzare ancora e ancora e ancora citazioni, rimandi, interi passaggi di altri libri all’interno del suo.

Se l’idea – una sorta di meta-letteratura – poteva essere vincente, dopo poche pagine qui risulta indigesta, pesante. Si fatica ad andare avanti con la lettura, a superare questo continuo citazionismo. E se una bibliofila come me ha avuto difficoltà, un lettore medio, che magari non conosce che pochissimi dei libri e degli autori a cui si fa riferimento, come farà ad arrivare alla fine?

In questo profluvio di nomi di autori, di titoli, di passi, le storie dei personaggi finiscono quasi sullo sfondo, perdono importanza, smalto, vengono schiacciate e appiattite.

Alla fine non si capisce più bene quale sia il cuore del racconto: come Alex cura le persone con i libri, come queste persone che gli si affidano si riprendano e vadano avanti, oppure quanto il biblioterapeuta – e quindi l’autore che gli da voce – sia colto e conosca?

Ancora una volta, quando si parla di libri sui libri, il vero problema sembra essere trovare una strada “giusta”, calibrare bene gli elementi e non cedere alla tentazione di semplificare troppo le cose, scadendo nel banale, oppure, come in questo caso, voler inserire troppi elementi, approdando alla ridondanza pura.

 

SCONSIGLIATO. PUNTO DI DOMANDA. . CONSIGLIATO. IMPERDIBILE