“Le lupe di Pompei”: recensione del romanzo storico di Elodie Harper

Fazi editore pubblica il 1° capitolo della trilogia "The Wolf Den", ambientata nella Roma antica

A Pompei in epoca romana la parola lupanar aveva due significati, “tana di lupi” e “bordello”. Allo stesso modo, lupa poteva significare sia “femmina di lupo” sia “prostituta”.

Una nuova trilogia storica, immersiva e coinvolgente, che porta letteralmente il lettore indietro nel tempo, al primo secolo d.C. Le lupe di Pompei” di Elodie Harper è uscito per Fazi editore oggi, 20 settembre. 

Le lupe di Pompei sono Amara, Didone, Vittoria, Berenice, Cressa. Ma nessuna di loro si chiama davvero così. Questi sono i loro nomi da schiave, costrette alla prostituzione nel bordello cittadino dal cinico padrone Felicio.

Nella Pompei antica, che procede ignara incontro al proprio destino, vivendo contrasti abissali tra ricchezza e miseria, uomini e donne, cittadini liberi e schiavi privi di qualunque diritto, le ragazze che abitano il postribolo tentano ogni giorno di sopravvivere alla brutalità delle loro notti. Qualcuna, come Amara, ricorda un passato di libertà ed è decisa a riconquistarlo con ogni mezzo; altre, al contrario, sono nate schiave e non hanno conosciuto altra esistenza.

Ma nonostante il dolore di ogni storia personale e la continua gara per procacciarsi clienti, denaro e pane, le lupe possono contare le une sulle altre, farsi custodi delle reciproche debolezze e paure, proteggersi a vicenda ogni volta che è possibile, senza perdere la capacità di cogliere minuscole gioie quotidiane, ma soprattutto senza perdere la speranza: le strade di Pompei sono piene di opportunità e perfino chi non ha più nulla può trovare un’occasione per rovesciare la sorte in suo favore.

Le lupe di Pompei” è un romanzo molto bello, coinvolgente, doloroso nel suo essere realistico, descrittivo e approfondito nel raccontare la vita nel mondo Romano del 74 d.C., capace di far empatizzare il lettore in modo davvero profondo con i personaggi – anche con quelli “negativi”, almeno in minima parte, e questo è un grande pregio della scrittura di Elodie Harper, al suo esordio.

Di storie ambientate al tempo dei romani non se ne trovano tantissime – diciamo che altre epoche storiche e personaggi (l’Inghilterra Tudor, il Rinascimento in Italia, i Borgia), vuoi per la maggior “vicinanza” e per la possibilità di reperire in modo più agevole documentazione, vuoi per il gusto degli autori, sono state sfruttate in maniera molto più massiccia. Per questo leggere un romanzo così curato è una piccola, grande gioia.

La Pompei del I secolo d.C., con le sue contraddizioni e disparità sociali, con i suoi riti e i suoi luoghi di svago (il bordello, certo, ma anche le terme, le taverne, le celebrazioni per i Vinalia o i Saturnali), prende letteralmente vita. E per chi ne ha letto sempre e solo in senso prettamente storico, nei libri di scuola, o ne ha sentito parlare nei documentari e nei servizi di Alberto Angela è una piacevole novità. 

Il parco archeologico di Pompei oggi.

Pompei è un microcosmo pieno di vita, che senza possedere le dimensioni o la densità di popolazione di una Roma dell’epoca, mostra comunque uno spaccato perfetto della società. Le donne – tutte le donne! – vivevano esistenze non semplici, ma le protagoniste di questa storia, “lupe” nel postribolo cittadino, e in generale quelle di estrazione sociale più bassa dovevano letteralmente lottare per ogni respiro, per vivere un altro giorno, per mangiare ancora una volta.

Al di là dell’attenta ricostruzione storica, “Le lupe di Pompei” conquista e coinvolge per come i personaggi sono stati caratterizzati e per lo sviluppo stesso della trama. È impossibile non provare partecipazione per le vicende di Amara, Didone, Cressa e delle altre, non farsi toccare dalle loro quotidiane tragedie (il bisogno disperato di affetto e la cruda realtà di non poterselo permettere, il dramma della maternità negata o sottratta, la brutalità del confronto con il mondo maschile). Alcune pagine sono vere e proprie pugnalate al cuore. 

Anche la trama è avvincente, procede spedita fino al finale, tra un avvenimento e l’altro, una tragedia e qualche rara, piccola gioia, pur mantenendo sempre un ritmo del racconto che potrei definire classico. E alla fine dispiace chiudere il libro e tornare alla realtà, ma consola l’idea che questo è solo l’inizio del viaggio di Amara, e che “presto” la ritroveremo.