Nell’afosa estate texana del 1958, il tredicenne Stanley Mitchell lavora nel drive-in del padre, e mette il naso in un segreto che doveva rimanere celato. E la “perdita dell’innocenza” di Stanley, in quell’estate in cui il mondo per lui cambia per sempre, coincide con il miracolo di una resurrezione davvero magica. In perfetta naturalezza, Lansdale ricrea le voci, il sapore, la vita, di un tempo scomparso del tutto, come non fosse mai esistito. La “sottile linea scura”, che segna per Stanley la scoperta del male del dolore e della morte insieme con l’esplosione del sesso e la consapevolezza del conflitto razziale, diventa la parete trasparente da varcare per immergerci in quegli anni Cinquanta lontani ormai come la preistoria.
In Italia si legge molto poco, i dati stanno lì a ricordarcelo ogni anno che passa. Io personalmente non potrei pensare di stare neppure un giorno della mia vita, figuriamoci 365, senza leggere almeno qualche riga, o una pagina. È il risvolto della medaglia, immagino.
Sapete cosa amo in modo particolare dei libri? Il fatto che ne esistano in numero pressoché infinito, che per quanto uno si ritenga un lettore forte e preparato – e io, senza voler risultare montata, credo di esserlo – ci sarà sempre un autore sconosciuto, una storia sconosciuta capace di sorprenderci. Ognuno può crearsi il proprio percorso, nei territori della narrativa, e le possibilità, semplicemente, non finiranno mai.
Dopo questa breve premessa filosofica, passiamo a parlare del libro di oggi, “La sottile linea scura” di Joe R. Lansdale. Se avete letto tra le righe, e nemmeno troppo, dei due paragrafi di apertura avrete probabilmente capito che di questo autore, fino a oggi, io non avevo letto niente. Il nome non mi era del tutto sconosciuto, ma la mia frequentazione con lui finiva lì. Complice una bella promozione sui tascabili Einaudi ho deciso di colmare il vuoto.
Questo romanzo del 2002 forse non è il meglio riuscito o il più noto della produzione dell’autore statunitense, ma riesce a trasmettere qualcosa, a spalancarci le porte di un mondo. Come ambientazione, come toni, mi ha ricordato un altro libro a suo modo storico, “22/11/63” di Stephen King.
Anche se siamo europei e la nostra storia è stata piuttosto diversa, non ci si può non innamorare di questa America polverosa e retro’ anni ’50/60, fatta di cinema drive-in, pollo fritto a volontà, bambini scorrazzanti su vecchie biciclette. È l’America che ancora non ha superato la segregazione razziale, l’America dove bianchi e neri si trovano ancora su piani differenti. È l’America dei fumetti a pochi centesimi, delle proiezioni mattutine, dei cinegiornali che sono già cimeli di un passato lontano.
Non è che in “La sottile linea scura“, alla fine, succeda poi molto. Certo, una trama verticale c’è – il giovane Stanley che insieme all’anziano proiezionista di colore Buster indaga a suo modo su due delitti avvenuti in città anni addietro, e alla fine arriva persino a scoprire qualcosa –, però procede davvero in maniera lenta, e non occupa il centro della scena.
Potremmo dire che qui, a fare la parte del leone, è più la quotidianità di un’estate come tante in una cittadina di provincia del Texas. Sono i fatti piccoli e all’apparenza normali – l’iniziazione sessuale, per quanto teorica, di Stanley, le avventure e disavventure amorose della sorella 16enne Callie, la storia di Rosy Mae, tra abusi e riscatto – a risaltare maggiormente.
Alla fine il colpevole, Stanley, finisce persino per trovarlo… ma questo non significa pressoché niente. Non c’è nessun caso, nessun processo, nessuna giustizia per i morti. Il carnefice della giovane Jewel non è neppure sicuro che sia stato trovato, e per quanto riguarda Margret… a nessuno sembra importare.
Quello che ci resta quando chiudiamo il libro è la sensazione di aver camminato in un tempo lontano, di essere stati, quasi fisicamente, nel 1958. E i personaggi, con le loro credenze e i comportamenti vecchio stile, finiscono per mancarci. Almeno un pochino.
Un libro ben scritto e coinvolgente. Uno stile, quello di Lansdale, che nel suo essere descrittivo riesce comunque a rendere vivide le immagini che propone.
Anche se si parla di “mostri” e assassini, non me la sento di definire “La sottile linea scura” un vero horror (come invece, leggendo qualche risvolto di copertina, mi sembrano altri libri dello stesso autore). Come nei romanzi di King che piacciono a me – quelli meno espliciti – ci sono delle notazioni inquietanti se non apertamente spaventose che mandano un brivido lungo la schiena e mettono dubbi nella mente di chi legge. Perché chi ha detto che i romanzi che fanno davvero paura debbano per forza essere quelli dove si racconta nel dettaglio cosa accade? Spesso le allusioni e gli accenni riescono anche meglio nell’obiettivo.