“La regina degli scacchi”: una miniserie Netflix che conquista

Anya Taylor-Joy è una delle chiavi del successo del progetto, articolato in sette episodi

Una serie diretta da Scott Frank. Con Anya Taylor-Joy, Bill Camp, Marielle Heller, Harry Melling, Thomas Brodie-Sangster. Drammatico. Stati Uniti. 2020

 

È doveroso fare una premessa, prima di mettere nero su bianco la mia modesta opinione su “La regina degli scacchi”, la miniserie del momento targata Netflix. Personalmente ho sempre detestato gli scacchi e la dama, che fin da bambino hanno messo in evidenza la mia mancanza di intelligenza strategica e pazienza.

Ho cercato di far presente la mia inadeguatezza alla direttora Turillazzi, quando mi ha assegnato la recensione. La risposta è stata lapidaria: “Nessuna problema, se dovesse servire rivedrai i sette episodi a ripetizione. Voglio il pezzo entro venerdì”. Con questo stato d’animo mi sono approcciato alla visione, pronto a fare le pulci al progetto di Scott Frank.

Ebbene, caro spettatore, dopo aver visto le puntate – fortunatamente una volta soltanto! – posso dirti che: l’antipatia per gli scacchi è rimasta; ho dovuto bere due thermos di caffè per completare il compito rapidamente; se avessi la possibilità di avere Anya Taylor-Joy come maestra probabilmente supererei i miei pregiudizi.

La Taylor-Joy è indubbiamente la chiave del successo di questo affascinante progetto, a tratti anche commovente, nonostante sia caratterizzato da lunghi silenzi e pause, e scandito da un ritmo lento e spesso monocorde. L’attrice dimostra di possedere talento, una forte presenza scenica e l’innata capacità di calarsi in modo simbiotico nel personaggio di Elizabeth Harmon, una ragazza degli anni ‘60 desiderosa di primeggiare in un campo maschile, battendo gli avversari e i luoghi comuni.

Beth è una enfant prodige degli scacchi, una sorta di Mozart in gonnella. Beth è anche una bambina e poi una ragazza psicologicamente fragile, traumatizzata dalla morte della madre e poi della matrigna. A questo dolore risponderà diventando dipendente dagli psicofarmaci e dall’alcool.

“La regina degli scacchi” ha una struttura narrativa e un respiro di stampo teatrale più che televisivo. Sulla carta questo avrebbe potuto far scappare lo spettatore medio; invece si viene trascinati dentro una storia drammatica, amara, desolante sul piano personale quanto trionfale a livello professionale.

La serie si muove nella direzione opposta rispetto ai prodotti di maggior successo degli ultimi anni targati Netflix. Qui non ci sono sparatorie né inseguimenti né supereroi né scene di sesso esplicite, elementi che il più delle volte servono a coprire la debolezza della sceneggiatura.

La storia si articola su due filoni ben precisi: la sfera personale e quella sportiva di Beth. Questi si alternano e si mescolano nel corso degli episodi senza però mai pestarsi i piedi, producendo un convincente equilibrio drammaturgico e consentendo al pubblico di seguire con facilità la vicenda.

Il gioco degli scacchi è il cuore pulsante della serie, che mostra non tanto i successi ma le ossessioni e i sacrifici di questi atleti rigorosissimi. Evito di esprimermi sulle dinamiche del gioco e sulla gestualità dei giocatori perché facendolo correrei il rischio di scrivere cavolate.

Ma anche da “profani” è impossibile non apprezzare l’attenzione nella ricostruzione degli ambienti, e la ricercatezza dei costumi e degli accessori che contribuiscono a far compiere un ulteriore salto qualitativo alla serie.

Il limite della sceneggiatura, secondo me, è nel poco spazio concesso a Mr. Shaibel, interpretato dal bravissimo Bill Camp (il personaggio è presente in soli tre episodi). Mr Shaibel intuisce il dono di Beth e le fa da maestro, diventando per lei il padre che non ha avuto da bambina. Poche parole, ma sguardi dal grande significato per Camp, che speriamo di vedere ancora nella seconda stagione.

Il settimo episodio chiude il cerchio ed è probabilmente il migliore di tutti. Beth sfida il campione sovietico Vasily Borgov interpretato dall’attore polacco Marcin Dorocinski. La partita assume un significato catartico e permette anche di spiegare perché questo per i russi sia molto più di uno sport (a questo proposito guardate con attenzione l’ultima scena).

“La regina degli scacchi”, insomma, ti sfida a vederla e a giocare una partita con lei. Ed è veramente difficile dirle di no.