La libreria del buon romanzo, Laurence Cossé

La libreria del buon romanzoUn misantropo appassionato di Stendhal, nascosto in un villaggio della Savoia, viene misteriosamente rapito e abbandonato in una foresta. Una bella signora bionda, esperta guidatrice, perde il controllo dell’auto e finisce fuori strada. Intanto in Bretagna un uomo che ogni giorno faceva la sua passeggiata in riva al mare incontra due sconosciuti che lo terrorizzano. Ma il lettore capisce presto che questo non è un classico romanzo poliziesco. Gli aggressori non sono né agenti segreti né trafficanti. Non aggrediscono dei duri ma delle persone miti. Ce l’hanno in particolare con un libraio ribelle, con una malinconica ereditiera e con la libreria che i due hanno creato senza mai pensare che potesse suscitare tanto odio. Chi, tra gli appassionati della letteratura, non ha mai sognato di aprire una libreria ideale dove si vendessero solo i libri più amati? Lanciandosi nell’avventura, Francesca e Ivan, i due librai, sapevano che non sarebbe stato facile. Come scegliere i libri? Come far quadrare i conti? Ma ciò che non avevano previsto era il successo. Un successo che però scatena una sorprendente sfilza di invidie e aggressioni.

 

Perché un romanzo piace a qualcuno e a qualcun altro no? Altrimenti detto, perché talvolta ci capita di apprezzare un libro con delle recensioni tutt’altro che entusiastiche? Perché il giudizio di bello/brutto, piacevole/spiacevole è soggettivo, certo. Ma anche e soprattutto, secondo me, perché la lettura di un libro ha tutto a che fare con la nostra vita, con il momento in cui la intraprendiamo, con i romanzi che abbiamo letto prima.

Venivo da due libri piuttosto leggeri, da una scrittura ironica, quando mi sono messa a leggere La libreria del buon romanzo. Non conoscevo questo libro, per questo prima di comprarlo ho fatto una ricerca per vedere la trama e mi è caduto l’occhio anche sui commenti non sempre positivi. Fatto sta, a me il romanzo è piaciuto. Non nego che ci siano dei punti che stonano, qualcosa nella trama che viene meno e lascia il lettore un po’ insoddisfatto, ma in linea generale per me questa è stata una lettura piacevole. E questo è dipeso dal momento, dalla situazione. Dopo i due romanzi leggeri di cui vi parlavo sopra, un libro così ci stava bene. Mi ha presa, mi ha coinvolta. Ma chi può dire, se e lo avessi preso in mano dopo un capolavoro o dopo una lettura impegnata, se sarei stata ugualmente soddisfatta?

Detto questo, passiamo al libro vero e proprio. Alzi la mano chi, da lettore appassionato, non ha sognato o non sogna di aprire una libreria. Confesso che questa è anche la mia aspirazione, un progetto che mi porto a presso praticamente da sempre e che se ne sta lì, in serbo per un ipotetico domani. Ecco, La libreria del buon romanzo è anche il racconto di un progetto, di un sogno, dell’ideazione e gestione di una libreria parigina – libreria particolare, che si pone l’obiettivo di tenere solo “buoni romanzi” e niente spazzatura stra-publicizzata (come lo vedreste, qui e oggi, un posto così?).

Francesca, ricca ereditiera di origini italiane che porta con sé la tristezza profonda per aver perso la figlia, mette il locale e il capitale; Ivan, un libraio che ha provato un po’ di tutto nella sua vita, l’esperienza con libri, fornitori e affini. Dalle due menti, dalle due visioni, nasce il progetto di un comitato di autori – rigorosamente segreto – che dovrà selezionare i libri idonei a comparire sugli scaffali. Ma, dopo il successo dei primi mesi, arriveranno i problemi…

Il libro unisce in sé opera di narrativa pura e giallo. Fin da subito, infatti, entrano in gioco gli elementi di disturbo e di pericolo: chi ha aggredito tre degli otto “grandi elettori” di “Al buon romanzo”? Chi c’è dietro la campagna denigratoria, gli articoli sui giornali, gli attacchi on-line? Un poliziotto indaga – prima di sua iniziativa, poi con un mandato ufficiale, infine ancora da solo. I due protagonisti e gli altri personaggi che gravitano intorno alla libreria affrontano la situazione, rispondono, e nel frattempo portano avanti le loro vite.

Il fatto di unire generi diversi e filoni narrativi diversi – l’ideazione della biblioteca, la storia di Francesca nel passato, i crimini, la storia di Ivan nel presente – non mi ha infastidita più di tanto. Quello che di questo libro non mi ha convinto sono stati, fondamentalmente, altri due punti.

Prima di tutto l’uscita di scena di Francesca. Durante tutta la storia non si fa che ribattere a più riprese sulla sua magrezza, sul suo aspetto cagionevole, sulla sua fragilità non solo mentale ma anche fisica. Confesso che mi ero convinta che fosse malata e che quindi alla fine si sarebbe spenta, sì, ma con un libro in mano a guardare il lago d’Orta dalla sua villa. O comunque in un modo serafico, posato, in linea con il suo personaggio. Non investita. Ma si può? Non è tanto l’incidente a stonare, ma la tempistica e le modalità. Finisce sotto un veicolo perché è stanca? Perché è ancora intontita dai sonniferi? Un modo davvero poco romantico di uscire di scena – e, dal punto di vista dello scrittore, di salutare questo personaggio così etereo, posato, quasi fiabesco. È stato un vero colpo quando ho letto quella parte. Perché ha abbassato in modo terribile il tono di tutto il racconto, perché stona con quello che è stato scritto fino a quel momento. Perché non ha senso. Si potevano trovare mille modi per far morire Francesca senza ricorrere a una cosa così drastica, triste e fuori luogo.

A ben guardare è tutto il finale ad essere un po’ frettoloso, tirato via, rapido in modo strano. Anche della storia dell’indagine finisce che non se ne viene a sapere nulla. Chi era il mandante degli attacchi contro “Al Buon Romanzo”? Boh – semplicemente boh. Mi ero convinta che dietro tutto ci fosse la mano del marito di Francesca, geloso, invidioso, rancoroso, ma le ultime pagine sembrano negare questa possibilità. Allora chi? Il romanzo è in larga parte il racconto che i due protagonisti fanno all’agente di polizia, una storia di diffamazioni, articoli al vetriolo, attentanti agli scrittori… ma finisce che non si scopre nulla? Finisce tutto così?

Il secondo punto (o terzo, a seconda di come vogliate considerare i due precedenti) che mi ha lasciata un po’ così è la storia d’amore tra Ivan e Anis e in generale la figura della ragazza. C’era bisogno di inserire nel libro questo personaggio problematico, diffidente, sconcertante? C’era bisogno di agitare le acque – e interrompere la storia legata alla libreria – con questo racconto parallelo? Non è tanto il rapporto tra i due in sé, che disturba, anche in questo caso è più il tono. Anis fa entrare nel romanzo un senso di ansia, di incompiutezza, di sbagliato. Qualcosa che non lega con il resto. Nella storia di due sognatori e del loro progetto, che senso ha inserire questa turbolenza fuori luogo? Questo amore travagliato, quasi tragico, senza dubbio problematico? Per me una cosa più soft, meno drammatica, ci sarebbe stata senza dubbio meglio.

Detto questo, io amo in modo particolare i libri che parlano di altri libri, di scrittori, editori e librerie. Quindi questo romanzo partiva avvantaggiato per entrare nelle mie grazie. Ammetto che il finale lascia un po’ così, perché si ha il senso di qualcosa di incompiuto o, quanto meno, di non compiuto nel modo giusto. Però mi è piaciuto. E mi ha ispirata per un ipotetico futuro.


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