Banale. Deludente. Fiacco
Avevo grandi aspettative su “La gemma di Siena” di Marina Fiorato. Forse perché vedere la propria, meravigliosa città immortalata nelle pagine di un romanzo mi mancava. Forse perché l’esordio della Fiorato – “La ladra della Primavera” ndr – mi aveva semplicemente stregata.
Devo ammettere che nella resa della Siena di allora l’autrice non ha fallito. Chi legge, a tratti, respira l’aria magica dei giorni del palio, la passione e le emozioni che stanno dietro ogni momento della festa. Alcune descrizioni delle strade strette, delle torri, di Piazza del Campo nell’aria nebbiosa del mattino sono davvero riuscite.
Quello che proprio non mi ha convinta è stata la resa della corsa in sé. Magari sono stata influenzata in senso negativo, fin da subito, dall’immagine di copertina e non ho più guardato alla cosa in modo neutrale.
Cos’ha l’immagine di copertina che non va? La corsa dei cavalli nell’anello di Piazza è al contrario! I cavalli corrono dal Casato verso San Martino mentre invece, nella realtà, il giro è all’inverso. Da senese, questo è un particolare essenziale che non potevo mancare di notare.
Ma oltre ai “dettagli”, i limiti del libro sono tutti nel ritmo narrativo, nella trama e nei personaggi. Andiamo con ordine.
Ho trovato il ritmo mal calibrato, così come la trama e il suo svolgimento. Pia conosce Riccardo, va a cavalcare con lui una volta – o almeno, questo è quello che si legge – e poi… è innamorata perché hanno passato insieme momenti indimenticabili. Quando? Dove? I momenti importanti, l’avvicinamento tra i due, mancano del tutto. Sembra una di quelle fiction dove viene dato tutto per scontato.
Anche la storia in sé fa acqua. Ruota tutto intorno alla congiura che dovrebbe sovvertire l’ordine naturale delle cose, c’è così tanta attesa che chi legge si aspetta una soluzione complicata, una soluzione che arriva con difficoltà. E invece… 3/4 di libro a prepararsi e poi tutto si risolve in quattro e quattr’otto.
Anche la scelta di ambientare un intero romanzo dentro le mura di una sola città, concedendo al lettore al massimo qualche scappate in campagna, si è rivelata azzardata. Abituati, nei romanzi storici, ai grandi spazi e ai grandi viaggi, un libro così unitario a livello spaziale non ha su chi legge un impatto dirompente.
Che dire dei colpi di scena, o presunti tali. Dopo 50/100 pagine avevo già indovinato che sotto c’era un qualche mistero e anche di cosa si trattava. Direi che questo la dice lunga sulla carica di novità della storia.
Per finire parliamo dei personaggi. La protagonista de “La ladra della Primavera” era viva, realistica e credibile in un modo eccezionale. Ti portava a parteggiare per lei, ma ancora di più a vivere in prima persona le sue avventure. Perché reagiva come avrebbe reagito una persona in carne e ossa, perché si staccava dalla pagina.
Pia, al contrario, è pallida, quasi impalpabile. Le sue passioni non toccano chi legge, la sua sofferenza non commuove. Somiglia a un figurino, a un’immagine dipinta. Soffre e il lettore non lo sente, ama e il lettore non capisce perché.
Anche Riccardo non è un personaggio forte – o almeno non abbastanza da far dimenticare quanto la sua controparte sia debole. È troppo buono, troppo virtuoso, troppo perfetto per sembrare vero.
L’unico personaggio principale che dà un po’ di movimento alla storia è Violante. Forse è un po’ eccessiva in certi passaggi – il senso materno torna un po’ troppo spesso come motivo – però è viva. Prova emozioni, va incontro a una crescita. Ma è la sola del trio. E questo non basta.