Dopo il convincente “Le lupe di Pompei” (qui la mia recensione), uscito in Italia per Fazi il 20 settembre, Elodie Harper continua la sua appassionante trilogia storica ambientata nella Pompei del I secolo d.C. con “La casa dalla porta dorata“. Un secondo capitolo che conferma quanto di buono letto in precedenza, aggiungendo, se possibile, drammaticità e tragedia.
Amara è riuscita a fuggire dalla schiavitù del lupanare. Grazie ai favori di Rufo, il nobile che l’ha eletta sua cortigiana prediletta, ora ha una casa, bei vestiti e perfino dei servitori. Ma la ragazza è consapevole che si tratta di concessioni precarie: la sua libertà durerà soltanto finché riuscirà a mantenere alte l’attenzione e la soddisfazione di lui.
Mentre tenta di abituarsi a questa nuova vita, Amara è ancora perseguitata dal passato. Di notte ha incubi sul lupanare e sulle donne che si è lasciata alle spalle: più che amiche, sorelle, di cui sente la mancanza e a cui vorrebbe donare un’occasione di riscatto, ora che può. Di giorno, invece, a turbarla è Felicio, il suo vecchio padrone che è in cerca di vendetta. Per ottenere davvero il controllo della propria vita, la giovane dovrà imparare ad agire come lui: senza scrupolo alcuno.
Ma quando inaspettatamente si innamora, le insidie e i pericoli si moltiplicano: nella sua posizione, Amara non può permettersi il lusso della vulnerabilità e nessuno deve scoprire che ha un punto debole, nemmeno il suo benefattore, che forse non conosce così bene come credeva. In questo gioco di equilibri sempre più precari, riuscirà a mantenere i suoi privilegi di cortigiana e a eludere i ricatti di Felicio, senza mettere in pericolo le poche persone a cui tiene veramente?
Se “Le lupe di Pompei” mi aveva conquistata per la capacità dell’autrice di dare vita al periodo storico che racconta, trasportando il lettore indietro nel tempo, ho trovato “La casa dalla porta dorata” soprattutto commovente e toccante. La Pompei del I secolo d.C. è ancora una volta vivida e pulsante, e ne comprendiamo meglio altri meccanismi e usi e costumi, come ad esempio la vita dei liberti e delle cortigiane.
Ma ad imporsi è sicuramente il dramma. Quello di Amara, che ha guadagnato la libertà, sulla carta, ma che deve comunque muoversi con cautela, secondo percorsi prestabiliti, e non può vivere davvero come vuole né tanto meno amare chi vuole. E poi quello di Filone, che sicuramente è il personaggio, dopo la protagonista, che viene meglio descritto e caratterizzato. Pagina dopo pagina il senso di frustrazione e di impotenza cresce, e da lettori moderni non si può fare a meno di riflettere su quanto le condizioni di vita, nel passato, fossero inique.
Personalmente non ho invece apprezzato più di tanto gli altri comprimari, sopratutto Vittoria e Berenice. Certo, le loro azioni per quanto prevedibili non sono incomprensibili, eppure, rispetto al primo romanzo, penso che abbiano perso parecchio in profondità. “Le lupe di Pompei” era un romanzo corale, in ultima analisi, con un buon bilanciamento tra dramma, storia e “commedia”; “La casa dalla porta dorata” è una riflessione drammatica sulla schiavitù e sull’amore, portata avanti da un punto di vista piuttosto individuale.
Sul finale lasciamo Amara in viaggio verso Roma, a bordo di un’imbarcazione con il suo nuovo protettore. A Pompei restano gli affetti più cari – l’amato, la figlia, l’amica Britanna – ma anche il nemico giurato Felicio, che ancora non è sconfitto. Davanti a lei, però, si aprono nuove intriganti possibilità. E la curiosità di scoprire come verrà affrontata la grande metropoli dall’autrice, nel capitolo conclusivo della trilogia, è grande. Al prossimo anno!