Era praticamente dal momento della sua uscita, il 24 marzo 2021, che avevo “L’orologiaio di Filigree street“, romanzo d’esordio di Natasha Pulley, nella lista dei libri da leggere, ed ecco che adesso, sul finire di questa torrida primavera, è finalmente “arrivata la sua ora”…
Londra, 1883. Thaniel Steepleton, giovane, modesto telegrafista al ministero dell’Interno, una sera trova un dono anonimo sul cuscino del suo letto: un orologio d’oro. È proprio l’orologio, strillando, a salvarlo dall’esplosione di un ordigno che devasta un pub.
Thaniel si trasforma in investigatore antiterrorismo e rintraccia l’artigiano che ha creato il prodigioso manufatto: si chiama Keita Mori, viene dal Giappone e nel suo laboratorio in una stradina di vecchie case a Knightsbridge prendono vita straordinari esseri meccanici, prodigi luminosi, uccelli di bronzo, un polpo rubacalzini. L’incontro con Mori – e quello con Grace Carrow, brillante studentessa di fisica che cerca di combattere i pregiudizi per diventare scienziata e scoprire la verità sull’etere luminifero – cambierà la sua vita.
“L’orologiaio di Filigree street” è un romanzo dall’incredibile potenziale narrativo: bello il mix tra spunti che definirei steampunk, come i meccanismi ideati da Mori, e la Londra vittoriana e quello tra Oriente e Occidente, intriganti e variegati i personaggi (anche quelli odiosi come Grace!), intricata e misteriosa al punto giusto la trama. Sconta però un “piccolissimo” difetto stilistico/strutturale: l’eccessiva lentezza del racconto!
Arrivare alla fine della storia richiede una prova di forza non indifferente, anche al lettore meglio disposto verso il genere come la sottoscritta. Questo perché il dettato è, semplicemente e senza mezzi termini, lento.
La trama arranca, procede talmente piano che molto spesso si ha la sensazione che, nonostante le molte cose che stanno succedendo ai protagonisti, non ci si sia mossi nemmeno di un centimetro. E il fatto strano è, appunto, che di cose ne succedono, non è che Natasha Pulley si perda in descrizioni o eccessivi approfondimenti.
Alla fine mi sono fatta l’idea che sia proprio il suo modo di scrivere, la cifra caratteristica del suo stile. Può piacere o non piacere, può oggettivamente scoraggiare dopo poche pagine. Personalmente vi consiglio di cercare di andare avanti, perché a “L’orologiaio di Filigree street” non manca davvero niente per essere un bel romanzo.
E alla fine, io mi sono affezionata anche alla scrittura lenta e poetica – perché bisogna dirlo, in questo dettato c’è grande poesia; una nota romantico-malinconica che a tratti fa commuovere, come le riflessioni sulla memoria, lo scorrere del tempo e la perdita – tanto da non vedere l’ora di incontrare di nuovo Thaniel, Mori, la piccola Sei e il polpo meccanico Katsu nel secondo capitolo della serie, “La memoria del samurai“.