Una serie diretta da Stephen Scott. Con Hiro Kanagawa, Masami Kosaka, Hayate Masao, Masayoshi Haneda, Hideaki Ito, Wilfred Lee, Seiji Hino, Elina Miyake, Ryota Kaneko, Chika Kitney. Documentario, storico. USA. 2021-in produzione
Ricostruzioni storiche commentate da esperti riportano in vita le tumultuose lotte di potere che hanno caratterizzato il Giappone feudale del 1500.
Dal 24 febbraio è disponibile su Netflix la docu-serie in sei episodi “L’era dei samurai”, diretta da Stephen Scott, che, alternando resoconto storico e messa in scena, racconta uno dei periodi più violenti della storia nipponica, il tardo Medioevo, noto come periodo Sengoku.
Partendo dalla figura del samurai, il guerriero altamente specializzato che in questo periodo acquisì le caratteristiche che poi lo hanno reso immortale nell’immaginario collettivo, la voce narrante di Hiro Kanagawa ci guida attraverso eventi in larga parte sconosciuti al pubblico occidentale, in una serie che alterna le parole di storici, scrittori e accademici alla ricostruzione cinematografica.
Il racconto, a tratti anche estremamente violento, inizia nel 1551 e mostra un Giappone in guerra continua, dove decine di signori feudali si scontravano per conquistare il potere. Guerra e sangue, quindi, che non sfigurerebbero in una serie come “Game of Thrones” (a cui “L’era dei samurai” è stata da più parti accostata, almeno a livello concettuale), ma anche eventi e personalità a loro modo molto affascinanti, che tengono viva l’attenzione.
Pur avendo tutte le caratteristiche del documentario, “L’era dei samurai” fa delle immagini sceniche, della “fiction”, un vero e proprio punto di forza, finendo quindi per accontentare sia lo spettatore interessato alla Storia sia quello che preferisce le immagini e l’azione alla lezione.
Grazie a questo connubio, gestito in modo convincente, Stephen Scott riesce a non annoiare. Anche se gli argomenti trattati non sono propriamente di interesse comune, le scene ben costruite sopperiscono a quelle che, per qualcuno, potrebbero essere “mancanze”, costruendo una rete di salvataggio che rende la docu-serie interessante e che si spinge il pubblico a proseguire la visione, non fermandosi alla prima impressione.