Dopo il successo su Prime Video, dove è arrivato a inizio giugno, “L’amore a domicilio” di Emiliano Corapi, con protagonisti Miriam Leone e Simone Liberati, arriva oggi al cinema e nelle arene.
Al centro della storia ci sono Renato, che per paura di soffrire si è sempre tenuto lontano dalla relazioni serie, e Anna, reclusa agli arresti domiciliari. Tra i due nasce un sentimento facilitato dalla permanenza, forzata, di lei tra quattro mura, ma ben presto la situazione si complica…
Qualche mese fa, in occasione della presentazione del film alla stampa, abbiamo avuto il piacere di scambiare quattro chiacchiere con i due giovani e bravi interpreti.
Buon giorno Miriam e Simone, grazie per aver accettato il nostro invito. Prima di tutto, come ci si trova a fare interviste via webcam?
Miriam Leone: Ciao Parole a Colori. Questa è la mia prima conferenza stampa via Zoom. Diciamo che sto provando in prima persona la nuova condizione di lavoro post-pandemia…
Miriam, che cosa ti ha spinto ad accettare questo ruolo?
ML: Penso sia il bello di questa professione: poter scegliere personaggi complessi, capaci di racchiudere in sé luci e ombra. Quando ho letto per la prima volta la sceneggiatura, ho subito detto: Voglio farlo! Anna è una bad girl particolare, una donna costretta alla cattività. Gli arresti domiciliari le impediscono molte cose. Si muove avendo alla caviglia una catena lunga. Così, quando con la scusa di un esame universitario da sostenere le è concesso di uscire, non si fa problemi a rimorchiare Renato (Liberati) per il puro gusto di farlo. È stimolante, a livello artistico, potersi mettere in gioco con un personaggio così stratificato e complesso. Anna è un’anima selvaggia, impulsiva, egoista, ma che poi è travolta dalla passione e infine dall’amore.
Simone quanto ha influito la tua vita reale nell’accettare e poi nell’interpretare il ruolo di Renato?
Simone Liberati: Ha inciso molto. Il mio personaggio rappresenta pienamente i dubbi e le incertezze di questo periodo storico. Renato crede nel suo lavoro di assicuratore, si è costruito una vita protetta e senza incertezze, fugge dagli obblighi sentimentali. Ma l’incontro con Anna cambia tutto. Come molti coetanei, Renato ha cercato di evitare di innamorarsi, per non soffrire. Ma quando poi il sentimento arriva, travolgendoti, c’è ben poco da fare…
“L’amore a domicilio” è anche una commedia romantica. Primo ruolo “leggero” per Simone, prima volta che Miriam usa il dialetto siciliano in modo marcato. Quali sono state le vostre sensazioni con queste “prime volte”?
SL: Se è per questo, è stata anche la prima volta insieme con Miriam. È stata una prima volta divertente, ma essendo lavoro è stato un divertimento serio. Sul set, tra noi si è creata la giusta sintonia artistica e umana che è servita a dare credibilità e profondità ai nostri personaggi.
ML: Parlando a lungo con il regista siamo arrivati a questa forte connotazione, anche linguistica, del mio personaggio. Nell’utilizzare il dialetto, ho voluto fare riferimento al mio passato universitario. Quello presso l’università a Catania è stato un periodo quasi inconcludente della mia vita.
Nel film, Anna è costretta dalla legge a restare chiusa in casa. Un elemento che è impossibile non ricollegare a quello che abbiamo vissuto tutti negli ultimi mesi. Com’è stato, per Miriam Leone, il lockdown?
ML: “L’amore a domicilio” doveva uscire nelle sale ad aprile, ma la pandemia ha fatto saltare i piani. In ogni caso, dato il tema della pellicola, è stata una pubblicità non voluta ma positiva. [Ride]. È vero che interpretare Anna ha anticipato la mia condizione da vera reclusa. Come tutti, sono stata costretta a fermarmi. Ho trascorso la quarantena con le persone più importanti, e in questi due mesi e mezzo ho compreso meglio la necessità e la voglia di Anna di fare. Ritrovarsi in cattività obbligata ti spinge a chiedere un aiuto esterno.
Non è la prima volta che interpreti una “bad girl”, penso a Veronica Castello della serie “1992”. Cosa ti affascina di questo tipo di personaggi?
ML: Sicuramente mi affascina il bivio che si trovano davanti, la possibilità che hanno di redimersi. Artisticamente, sono ruoli stimolanti.
Nel film, ha una grande importanza la famiglia. Quanto pensi che sia difficile, nella finzione come nella realtà, scendere a patti con le proprie origini?
ML: Accettare il proprio sangue è un passaggio difficile, spesso conflittuale. Ma, una volta fatto, si vive meglio. Il mio personaggio, ad esempio, ha una rapporto ruvido con la madre ma gli arresti domiciliari, paradossalmente, agiscono come una sorta di terapia.
Il regista Emiliano Corapi si aggiunge alla conversazione: Sottoscrivo il pensiero di Miriam. Aggiungo che invece, nel caso del personaggio di Renato, è il padre ad aver svolto un ruolo di barriera, di freno alla vita sentimentale del figlio.
Com’è stato lavorare con Emiliano Corapi? Che tipo di regista è?
ML: Il rapporto con il regista ogni volta è diverso. Sono stata felice di lavorare con Emiliano: è scrupoloso, attento anche al benessere fisico dell’attore.
SL: Come se sapesse già del Covid.
Il film arriva in streaming su Amazon Prime Video, ma dal 15 giugno dovrebbero riaprire anche le sale. Cosa vi aspettate da questa nuova fase?
ML: Non credo che lo streaming tolga spazio alle sale o che faccia venire meno la condivisione. Ma personalmente amo il cinema dal vivo e mi manca l’esperienza della sala.
SL: Con il lockdown, è nato un rapporto diverso, più intimo, con “il cinema”.
ML: Il cinema, in molti casi, ci ha aiutato a non uscire di testa.
Grazie a Miriam e Simone per essere stati, virtualmente, con noi, e in bocca al lupo!
Miriam e Simone: Grazie.