È uscito il 9 settembre per Neri Pozza “Ivy” di Susie Yang, scelto anche come libro del mese per il book club dell’editore. Un romanzo d’esordio spietato, che regala il ritratto di un’anti-eroina dei giorni nostri, ossessionata dai simboli superficiali della ricchezza e del successo. E disposta a tutto per ottenerli.
Ivy Lin è una ladra. Una ladra e una bugiarda insospettabile. Ha l’aspetto di una ragazza asiatica dagli occhi bellissimi, ma si sostituirebbe volentieri con una versione bionda con gli occhi azzurri. Ivy Lin è, infatti, una ladra e una bugiarda perché non vuole essere quella che è, una ragazza asiatica negli Stati Uniti d’America. Non vuole la stessa vita di sua nonna Meifei, un’esistenza governata da noia e da regole ferree.
Soprattutto, non vuole un marito buono soltanto a procurare un visto ai parenti o una vita rispettabilmente mediocre ai suoi. L’amore per Ivy deve esistere per se stesso. Deve contemplare desiderio, eccitazione, libertà, avventura. Quando conosce Gideon Speyer, un rampollo di sangue blu del New England, con un ciuffo di capelli biondi che gli scende dalle tempie fino alla sommità delle orecchie, una pronuncia impeccabile e una casa che sembra un castello in vetro e pietra, Ivy crede perciò di aver trovato una via d’uscita al suo mediocre destino.
Certo, Gideon non è come Roux Roman, lo sfrontato ragazzo rumeno che affronta la vita a muso duro e che, con quell’aria da cattivo ragazzo, la attrae irresistibilmente. Gideon ha il successo scritto nei geni, è un giovane bianco destinato a un dottorato a Stanford e ad avere il cognome in qualche lista annuale di Forbes. Ma Ivy, dalla sua, ha la furbizia della nonna Meifei, quell’abilità mimetica, quella propensione a fingere tipica di chi non ha niente e vuole tutto.
Così, anni dopo, durante una vacanza trascorsa nel cottage estivo degli Speyer, Ivy esercita le sue arti e, tra cene e gite al mare, riesce a farsi accettare da Gideon e dal suo clan. Ma proprio mentre sta per avere quello che ha sempre desiderato, il passato riaffiora, minacciando la vita quasi perfetta per cui ha lavorato così duramente.
“Ivy” di Susie Yang è un romanzo scritto in modo magistrale, mi verrebbe da dire quasi perfetto – se pensassi che la perfezione fosse di questo mondo e potesse applicarsi alla narrativa (il condizionale vi fa capire che no, non lo penso. Penso invece che si possa sempre trovare qualcosa di “meglio”, per cui evito con cura di usare termini assoluti, quando parlo di libri).
Un romanzo che si legge con un piacere crescente, da cui è difficile staccarsi fino al finale imprevedibile, scioccante, terribile, e che per certi versi crea dipendenza – proprio per il suo stile, perché è meraviglioso leggere qualcosa che è, prima di tutto, ben scritto. Qualcosa dove non si trovano difetti.
“Ivy” è il racconto senza filtri, sincero fino a risultare brutale dell’infanzia e della giovinezza di una ragazza americana di origini cinesi – in realtà la protagonista, a differenza del fratello minore Austin, è nata in Cina e ha raggiunto i genitori emigrati negli Stati Uniti solo a cinque anni -, fino alla soglia dei trent’anni.
Ivy è determinata a prendere le distanze dalle sue origini e dalla sua famiglia (caratterizzata in modo eccezionale!), e a entrare dalla porta principale nel mondo dorato e perfetto dei ricchi bianchi (almeno, questa è l’immagine che ne ha lei). Trova il suo “lasciapassare” in Gideon Speyer, un personaggio su cui, pagina dopo pagina, il lettore inizia a porsi diversi dubbi. Gideon sembra il prototipo del principe azzurro – bello, biondo, di buona famiglia, gentile – ma c’è qualcosa in lui che non quadra… Alla fine, forse, capiamo anche di cosa si tratta.
Ma al di là dei “personaggi secondari”, “Ivy” è lo studio magistrale su una ragazza, un’immersione nella sua mente e nelle sue emozioni che, come ho scritto in precedenza, è talmente realistico e veritiero da risultare brutale. Durante la storia possiamo non comprendere a pieno le motivazioni di Ivy, ciò che la spinge a desiderare ardentemente qualcosa, a comportarsi in una certa maniera, ma pagina dopo pagina proviamo sulla nostra pelle i suoi turbamenti, il suo dolore (psicologico ma anche fisico). Ed è praticamente impossibile non empatizzare con lei, non venire travolti dalla sua storia, dalle sue azioni e decisioni (anche da quelle impensabili e incomprensibili).
Alla fine ci si ritrova col fiato sospeso, con l’amaro in bocca, con un vuoto allo stomaco. Ivy avrà coronato il suo sogno da bambina? Avrà raggiunto le agognate pace e stabilità? Andrà tutto bene, come spera, come immagina? Chi può dirlo. Il “lieto fine” non è altro che l’inizio di un’altra storia, di un altro capitolo. Ma questo esordio resta, potente, toccante, disturbante, spietato.