Vanessa Navicelli è nata in provincia di Piacenza, ma da anni vive a Pavia. È cresciuta coi film neorealisti italiani, con le commedie e i musical americani, coi cartoni animati giapponesi, coi romanzi dell’Ottocento inglese e coi libri di Giovannino Guareschi.
Ha alle spalle la partecipazione a diversi concorsi letterari – è stata finalista del Premio “La Giara” per romanzi inediti, indetto dalla RAI, nel 2012; ha vinto la sezione “Scritture per Ragazzi” dello Scriba Festival di Carlo Lucarelli e vari premi con la Scuola Holden di Alessandro Baricco.
Scrive romanzi per adulti e ragazzi, e storie per bambini. Quando scrive, cerca di tenere presente quattro cose: la semplicità, l’empatia, l’umorismo, la voglia vera di raccontare una storia. Nel 2014 ha iniziato la sua avventura come autrice indipendente, pubblicando la fiaba illustrata “Un sottomarino in paese” (disponibile in ebook e in cartaceo, in italiano e in inglese).
Come nasce in te la passione per la scrittura?
La scrittura è magia. Tu immagini un mondo, dei personaggi, e questi esistono solo nella tua testa. Poi li metti su carta (o su computer) e, se sei abbastanza bravo da dar loro uno spessore, una tridimensionalità, diventano reali. Reali! Un attimo prima non esistevano e un attimo dopo sì. È magia pura! Quando poi ti accorgi che con quello che scrivi riesci a far commuovere la gente, a farla ridere, a farla emozionare, pensare… be’, quando succede anche questo l’innamoramento per la scrittura è completo e non riesci più a farne a meno – come accade a tutti gli innamorati.
Dalla tua biografia vedo che hai partecipato, anche con buoni risultati, a diversi concorsi letterari. Credi che siano un modo valido per farsi conoscere? Com’è stata, per te, questa esperienza?
Inizialmente, e per un bel po’, non ho partecipato ai concorsi letterari con lo scopo principale di farmi conoscere, ma con quello di mettermi alla prova. Volevo scrivere, migliorare, vedere che effetto facevano i miei testi alla gente. Ma sapevo di non essere ancora pronta per la pubblicazione, prima dovevo appunto crescere. Mi sono chiesta cosa potevo fare. Il primo comandamento per chi vuole scrivere è leggere, ma subito dopo viene scrivere. Scrivere tanto, scrivere sapendo che molte esperienze ti serviranno solo come esercizio. Così mi son detta: e se, per esercizio, scrivessi per dei concorsi, invece che solo per me? Ed è quello che ho fatto. Mi è servito, professionalmente e umanamente, e spesso è anche stato divertente. Ho gironzolato tra le cittadine d’Italia, ho visto le reazioni del pubblico ai miei testi, ho sperimentato vari generi fino a trovare quelli a me più congeniali. Ho vinto anche qualche corso di scrittura con scuole prestigiose e questi mi sono serviti per arricchire la mia “cassetta degli attrezzi”, perché è vero che il talento non si impara, ma certe regole su come metterlo in pratica sì. Poi, col tempo, ho voluto provare a partecipare anche a premi più importanti, perché quelli sì possono darti visibilità. Alcuni sono andati bene, altri no, esattamente come succede con quelli meno prestigiosi. Rifarei tutto. Ma questa è semplicemente la gavetta che ho scelto io. Può essere altrettanto utile seguire solo dei corsi di scrittura, fare uno stage in una casa editrice o in giornale, oppure muoversi in modo ancora differente. L’importante è fare queste cose pensando che serviranno per migliorare, non per dire: “Ho fatto la tal cosa quindi, ora, sono uno Scrittore!”.
Parliamo del libro con cui hai esordito, nel mese di giugno, “Un sottomarino in paese”. Come hai avuto l’idea?
Ho scritto questa storia alcuni anni fa. Era un momento in cui si parlava tantissimo di guerra – in effetti quando mai non si è costretti a parlarne? In questo periodo, poi… Avevo già parlato di guerra in alcuni racconti per adulti (con uno avevo vinto il premio Guareschi) e in una serie di poesie/filastrocche che avevo scritto per una mostra collettiva itinerante che raccoglieva fondi per Emergency e Amnesty International. Ma non mi bastava. Ero così nauseata da quello che stava succedendo, e che succede ancora, che mi son detta: “I bambini! Parlarne ai bambini è una strada. Perché diventeranno adulti e se magari cominciano a pensarci adesso, a certe cose, e a vederle da punti di vista diversi, a ragionarci… Chissà”. Non sono molte le cose che so fare. Non posso combattere le ingiustizie in molti modi. La parola scritta è il modo con cui posso contribuire. Contribuire al potente spettacolo della vita con un mio verso, per parafrasare Whitman.
Hai sempre pensato di scrivere storie per bambini/ragazzi?
Non mi sono mai posta dei limiti. Amo la scrittura, amo le storie. Ogni storia che mi nasce dentro ha bisogno di essere raccontata con un certo linguaggio, una certa lunghezza e via dicendo. In un certo senso se lo sceglie da sola – lei, la storia – il target a cui vuole rivolgersi, e io le vado dietro. Anche con “Un sottomarino in paese” è andata così. Quando ho iniziato a scriverlo non sapevo sarebbe stato un libro per bambini. L’ho capito strada facendo. Detto questo, è vero però che io adoro il mondo dell’infanzia. Infatti mi sono venute in mente parecchie altre storie per bambini, al momento ancora inedite. E sono certa che anche in futuro ricapiterà.
E in futuro come ti vedi? Pensi di continuare su questo filone oppure non disdegni l’idea di cimentarti con generi differenti in futuro?
Le prime cose che ho scritto erano racconti per adulti. Il primissimo premio che ho vinto, con la scuola Holden, l’ho vinto con un racconto umoristico. Poi ho sperimentato altri generi, come dicevo all’inizio. E così sono arrivata anche alle fiabe e alle storie per bambini. Per il futuro penso di portare avanti il filone per bambini/ragazzi, perché ho scoperto che amo moltissimo incontrare i lettori-bambini. E non voglio abbandonarli dopo un solo libro. Però, parallelamente, ho intenzione di iniziare a pubblicare anche una saga di romanzi a sfondo storico a cui ho lavorato per tre anni (tra ricerche, interviste, smistamento materiale, stesure varie, correzioni). Di questa saga fa parte anche il romanzo con cui sono arrivata in finale al premio RAI “La Giara”. Sono romanzi ambientati nella prima metà del Novecento, nel nord Italia. La storia di una famiglia e degli amici che le ruotano attorno – tornerò a parlare di guerra, sempre con la speranza di far pensare alla pace. Sono romanzi legati tra di loro, ma anche indipendenti. Hanno una struttura molto particolare che ha richiesto un gran lavoro. E poi una cosa che aspetto di fare da tanto: scrivere un romanzo prettamente umoristico! Un testo che permetta anche a me di rilassarmi e divertirmi, scrivendolo. Perché la saga sul Novecento… be’, le voglio un bene immenso e ne sono contentissima, ma ho pianto talmente tanto scrivendola.
Dopo la versione italiana e quella inglese, presto uscirà la versione spagnolo del tuo libro, e sei impegnata in presentazioni e incontri nelle scuole. Si può dire che pubblicare un libro non è che il primo passo? Che il lavoro continua anche oltre la scrittura?
Assolutamente sì, verissimo. E questo vale sia per gli autori self che per buona parte degli altri. Un libro, da solo, non si fa conoscere né si vende. Certo, se hai un nome di prestigio e una grossa casa editrice alle spalle, allora le cose cambiano – bastano poche apparizioni in tv, nei programmi giusti, e alle principali fiere dell’editoria e sei a posto. Ma per tutti gli altri…
Parliamo adesso del tuo rapporto con il mondo dell’editoria. Hai pensato anche alla pubblicazione tradizionale, con casa editrice, prima di deciderti per il self? Oppure l’auto-pubblicazione è stata la tua prima scelta?
Le grandi case editrici, in linea di massima, investono su chi ha già un nome di un certo richiamo o su chi fa un genere ritenuto commerciale. Io, per adesso, non rientro in nessuna delle due categorie. Poi ci sono gli editori medio-piccoli e piccoli, più disponibili, ma in questo caso si deve trovare un perfetto incastro tra la loro linea editoriale e l’opera scritta, perché questi partner non son generalisti. Impresa non facilissima. A questo si aggiunge il problema della distribuzione – le CE piccole hanno spesso un raggio di distribuzione limitato – e del prezzo di copertina, spesso troppo alto per il libro di un esordiente. Infine ci solo le case editrici a pagamento, e quelle a doppio binario, mondi però che io non ho mai voluto prendere in considerazione. Ecco che allora molti decidono di puntate sul self publishing. Ci si rimbocca le maniche (parecchio!), si cerca di creare un buon team, una specie di piccola casa editrice virtuale, e ci si mette all’opera per realizzare i propri sogni. Ci sono anche molte contaminazioni: ad esempio, autori self che vengono poi notati e messi sotto contratto dalle grandi case editrici, ma mantengono comunque anche una loro indipendenza per poter pubblicare, parallelamente, altre cose per conto proprio. Il self publishing, se fatto in maniera professionale, offre moltissime opportunità. È una realtà in continua evoluzione, ricca di stimoli. Io mi sono affacciata a questo mondo relativamente da poco, ma conosco diversi autori self di una bravura pazzesca.
Come valuti, da esordiente, la situazione editoriale italiana? Per gli autori giovani e le nuove idee ci sono possibilità?
Sì, io credo ci siano possibilità. Ognuno deve trovare e seguire il percorso che gli è più congeniale. Per intenderci: non è detto che ciò che io rifiuto non possa invece essere perfetto per un altro. E viceversa. C’è da darsi da fare, non aspettare che le cose accadano e basta. E quando una strada non funziona, bisogna provare con un’altra, anche inventandosene di nuove, se occorre. Siamo in tantissimi a scrivere. L’unico modo per avere una possibilità è impegnarsi di più, “impegnarsi meglio”.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Come dicevo qualche domanda fa, spero di riuscire a pubblicare altre storie per bambini e la saga a sfondo storico per adulti. Il romanzo umoristico di cui parlavo temo invece dovrà aspettare ancora un po’. Invece inizierò presto un racconto di Natale che ho in testa da tanto tempo, in modo da poterlo far illustrare e poi impaginare con calma, con largo anticipo per il Natale 2015. Intanto finirò la versione inglese del mio sito e cercherò di metterlo online presto. E vorrei anche inaugurare ufficialmente e seguire con costanza il mio blog, “Sono un criceto selvaggio”, che si trova all’interno del mio sito. Tanti progetti, insomma. Tanti da diventarci matta, temo!
E il tuo sogno nel cassetto?
Uh, questa risposta è facile: una vita alla Beatrix Potter! Tranquilla e riservata, in qualche immensa tenuta stile inglese, a scrivere le mie storie. E i miei personaggi che se ne vanno a spasso per tutto il mondo, circondati dall’amore della gente. Dite che è troppo? Lo so, ma… se vuoi sognare, sogna in grande!
Per saperne di più dell’autrice e delle sue storie:
il sito ufficiale di Vanessa Navicelli, il blog dell’autrice, la pagina Facebook