A tu per tu con Chiara Turozzi, la donna che ha dato vita all’Iguana Editrice a Verona.
Ecco cosa ci ha raccontato del suo particolare progetto editoriale e del concorso “Lìbrati e vola”, indetto in collaborazione con la Libreria delle donne di Padova.
L’Iguana Editrice è un progetto editoriale interamente declinato al femminile. Come mai questa scelta?
Non avrei avviato una casa editrice senza un progetto declinato al femminile, che nasce dalla necessità di proseguire, con le lettrici, le blogger, le libraie, le giornaliste, le critiche letterarie la contrattazione con il linguaggio e il simbolico inaugurata tanto tempo fa da altre donne. Un lavoro, dicevo, necessario per tutte. Insomma, per me è venuto prima il desiderio di mettere insieme lavoro di scrittura e studi femministi. Dopo qualche anno tra redazioni editoriali, un paio di riviste patinate e il quotidiano della mia città, ho deciso che la via più azzeccata per portare avanti quello che mi stava veramente a cuore era una casa editrice mia.
«Donne e uomini praticano la scrittura in maniera differente», si legge nella presentazione ufficiale della casa editrice. Ci spieghi meglio questa frase: quali sono le differenze?
Dipende dal significato che storicamente la scrittura ha avuto per le donne. Dalla filosofia antica alla medicina medievale alla science fiction, il femminile ha costituito a lungo un buco nel simbolico e nel linguaggio, vale a dire un limite a ridosso del quale la lingua confonde vocaboli, traduce ambiguamente, ingarbuglia, balbetta. Forse per via di una sorta di turbamento riguardo il potere di fare il bello e il cattivo tempo con il mistero della nascita e della morte, forse per giustificare una certa strutturazione dei ruoli sessuali che ha funzionato per molto tempo, forse semplicemente perché il soggetto del discorso era quello sbagliato, nella migliore delle ipotesi il femminile è stato screditato e misconosciuto, nella maggior parte dei casi è stato espulso dall’ambito del dicibile e del conoscibile. Ma a un certo punto alcune e poi molte, dopo aver ingoiato rospi duri come pugni, sono entrate in gioco e hanno iniziato a scrivere. Si sono rimboccate le maniche e hanno cominciato a fare i conti con un linguaggio che non offriva espressioni adeguate alla loro esperienza e al loro desiderio. Hanno contrattato con pazienza e messo a punto un repertorio di parole, espressioni, figure inedite per dire qualcosa che prima non era stato nominato. Tutte noi siamo eredi di quelle donne.
Il concorso letterario “Lìbrati e vola”, organizzato in collaborazione con la Libreria delle donne di Padova, ha avuto un’ampia risonanza – oltre ai racconti giunti da tutta Italia, ce ne sono stati alcuni arrivati dall’estero. Questo evidenzia l’immenso potere della scrittura. Secondo lei, scrivere è terapeutico? Perché molte persone, oggi, sentono il bisogno di mettere nero su bianco ciò che pensano attraverso romanzi, racconti, blog, diari?
Vero: il concorso ha avuto una risonanza molto ampia, e senza dubbio il suo successo ha a che fare con l’intimità straordinaria tra le donne e la scrittura. Un desiderio vigoroso, condiviso da moltissime. Certo, scrivere per alcune può essere terapeutico, perché no? Ma conosco molte donne per cui scrivere è piuttosto una vera e propria ossessione. Per loro è vitale riuscire a stanare la parola giusta, quella che aderisce perfettamente al senso di quanto vanno scrivendo. Per altre, poi, scrivere è una pratica salvifica. Ma non credo che oggi donne e uomini sentano una maggiore spinta verso la scrittura. Penso invece che i contesti siano sempre di più e alla portata di tutte e tutti, e che per questo si scriva e si pubblichi in svariate forme: blog, riviste online, self-publishing. La rete offre a chiunque occasioni accessibili e servizi rapidi. Anche se, per la smania di dichiararsi scrittori o scrittrici, molte e molti confondono questa accessibilità con un effettivo consenso di pubblico. Ho pagato per pubblicare il mio ebook in vendita su Amazon? Allora sono una scrittrice.
Il nome scelto per il concorso ha un profondo significato. Librarsi come mezzo per superare le difficoltà che ogni donna incontra nella propria vita, per esprimere nuove vie di consapevolezza e nuove forme di auto-realizzazione. Secondo lei quali sono le maggiori difficoltà che una donna può trovare nella nostra società, sia nella vita privata che in quella lavorativa?
Il nome del concorso viene direttamente da quello della Libreria delle donne di Padova, uno spazio politico messo in piedi da Laura Capuzzo e Ilaria Durigon, che conducono la loro impresa con intelligenza e tenacia, e che hanno il merito di aver lanciato l’idea del concorso, che io ho accolto con entusiasmo. Nell’introduzione alla raccolta dei racconti selezionati, Ilaria Durigon spiega che «la capacità di librarsi rimanda a un modo peculiare di affrontare le turbolenze e i vuoti d’aria che la vita può presentare, non alla volontà di farsi trascinare dalle correnti». Credo che le donne continueranno a incontrare difficoltà finché la presenza femminile non verrà nominata e resa visibile ovunque, finché le donne più grandi, intraprendenti e sveglie non daranno risalto alla differenza sessuale senza atteggiarsi a copie malriuscite degli uomini. È un loro preciso dovere. Si tratta, in buona parte, di portare avanti un lavoro paziente con il linguaggio. Un esempio pratico di ciò che intendo: se quando dico uomini, medici, lettori, voglio dire anche donne, medichesse, lettrici, beh, quelle donne diventano invisibili, spariscono. Ma se colloco in testa alla mia top ten il dato biologico e fisiologico di essere nata donna posso perfino cambiare la storia.
Al concorso hanno partecipato 81 racconti. Chi sono queste donne che hanno messo mano alla penna e di cosa hanno parlato nelle loro storie?
Sono donne che hanno preso qualche bella cantonata, che hanno superato ostacoli inimmaginabili, che si sono fatte beffa delle regole del gioco e hanno cavalcato l’onda della felicità. Ecco perché alla fine mi è venuto in mente che il titolo della raccolta poteva essere l’attacco di una poesia di Sylvia Plath: “Soffia un vento contrario”. Come puntualizza bene Ilaria, «per salire, per mordere il cielo, per staccarsi da terra e sfidare la gravità serve opporsi alla corrente, prenderla a viso scoperto e scappare in avanti». Proprio come la figura femminile della copertina disegnata da Hanna Suni, che cura tutti i progetti grafici dell’Iguana e che insieme a Valentina Berengo, ufficio stampa, costituisce l’hardware della mia casa editrice.
Molte delle nostre lettrici hanno nel cassetto il sogno della scrittura, quindi è d’obbligo chiedere: ci sarà un’altra edizione del concorso?
In questa o in un’altra forma, un concorso letterario che offra un’occasione alle donne che scrivono si farà anche l’anno prossimo.
Prima di salutarci, vorremmo approfittare della sua esperienza nel settore editoriale per farle una domanda tecnica. Quali elementi rendono un racconto o un romanzo adatto alla pubblicazione rispetto a decine di altri?
Un tema cruciale, forte e chiaro, e un elemento sorprendente. Nessun autocompiacimento. E non è indispensabile raccontare tutto, riempire buchi, spiegare dettagli: un libro davvero buono deve lasciare qualche spazio vuoto per far posto al lettore e alla lettrice, e far venire fame dalle prime tre righe.