Daniela Lojarro è nata a Torino. Terminati gli studi classici e musicali (canto e pianoforte) ha vinto alcuni concorsi internazionali di canto che le hanno aperto le porte, fin da giovanissima, di una carriera internazionale sui più prestigiosi palcoscenici di Europa, Stati Uniti, Sud Corea, Sud Africa interpretando i ruoli di Lucia di Lammermoor, Gilda del Rigoletto e Violetta della Traviata.
Nell’ambito della sua carriera musicale ha inciso cd, diverse opere da lei interpretate sono state riprese da radio o televisione e alcuni brani da lei incisi sono stati inseriti come colonna sonora in pellicole di respiro internazionale (si pendi ai brani della Lucia di Lammermoor di Donizetti per The departed di Martin Scorsese).
Oltre al canto, si dedica all’insegnamento e attraverso la musico-terapia aiuta adulti e bambini con difficoltà nello sviluppo della lingua, e attori, cantanti, commentatori televisivi, insegnanti, manager che vogliono sviluppare le potenzialità vocali.
Come scrittrice ha esordito con i fantasy “Fahryon” e “Il risveglio di Fahryon“, prima e seconda parte della saga Il Suono Sacro di Arjiam, editi da GDS.
Nell’intervista per Parole a Colori, discuteremo con Daniela Lojarro della sua multiforme carriera, del panorama editoriale italiano e di molto altro ancora.
Ciao Daniela, è un piacere averti qui con noi per parlare del tuo libro e dei nuovi progetti cui stai lavorando. Iniziamo dall’inizio: come nasce in te la passione per la scrittura?
Fin da bambina amavo inventare storie che poi mi divertivo a interpretare con le mie amiche e, man mano che gli intrecci diventavano complessi, le scrivevo perché non riuscivo più a tenerle a mente. Si trattava di una via di mezzo tra romanzi e sceneggiature: comprendevano, infatti, testo con descrizioni di ambienti, costumi, luci, frasi cardine a cui, però, si era libere di arrivare come si voleva, purché ci si arrivasse, per portare avanti la storia. In seguito, nel corso della mia carriera artistica, la scrittura mi ha tenuto compagnia dopo prove o recite, oppure durante i lunghi spostamenti. In un certo qual modo scrivere mi permetteva di elaborare tensioni, impressioni, emozioni o semplicemente di distendermi fantasticando. Poi, alla partenza, tutto finiva sempre nel cestino della spazzatura. Il desiderio di scrivere una storia articolata si è incuneato fra l’attività artistica e quella di terapista. Non sono passata dai grandi ruoli del melodramma italiano alla musico-terapia di colpo, si è trattata di una ricerca interiore complessa finché non ho trovato le risposte alla mia inquietudine. In questo momento di trasformazione è ritornata la passione per la scrittura come spinta interiore, come necessità di elaborare letture, passioni, emozioni, ricordi prima di compiere il salto.
Nella vita di tutti i giorni ti occupi, oltre che di scrittura, di un’attività altrettanto artistica, ovvero il canto. Come si combinano queste tue due anime, quella di scrittrice e quella di cantante lirica? C’è qualcosa del tuo lavoro come interprete che hai portato nei tuoi libri?
Non vedo le mie attività – cantante, terapista, scrittrice – distinte una dall’altra: le considero piuttosto sfaccettature del mio modo di esprimere emozioni sfruttando le diverse possibilità di comunicarle con suoni o parole. Non riesco sempre a svolgere tutto contemporaneamente e ci sono periodi in cui mi dedico di più alla scrittura, altri in cui privilegio il canto e altri ancora in cui principalmente svolgo la mia attività di musico-terapista. Ciò che unisce e accomuna i vari aspetti, direi quasi il marchio di fabbrica della mia personalità, è il comunicare emozioni e risvegliarle. Come cantante e musicista, questo significa conferire la sfumatura giusta a note e parole (nel melodramma è importante anche il libretto!) affinché trasmettano il movimento dell’animo che sta alla base del pensiero creativo del compositore a chi ascolta. Come scrittrice, cerco la parola, fra tutte quelle che usiamo nelle relazioni sociali quotidiane, capace di suscitare nel lettore la vibrazione legata all’emozione come se la stesse vivendo o rivivendo. In entrambi i casi sono alla ricerca della risonanza che mi pare più consona o dell’accordo che faccia vibrare e che metta, appunto, in risonanza scrittore e lettore. Un altro aspetto del lavoro d’interprete che ho portato anche nei libri è la costruzione di ogni personaggio. Abituata al lavoro in teatro, nello scrivere mi sono identificata in tutti. Per ogni frase o pensiero, ho sempre cercato di mettermi nei panni di quel personaggio e di farlo agire secondo la sua personalità, la sua condizione sociale e psicologica e per il fine che si proponeva di raggiungere, caratterizzandolo anche con espressioni mimiche o tic nervosi che possono apparire in momenti di tensione emotiva. L’osservazione attenta delle persone nel quotidiano – come parlano, come gesticolano, come reagiscono a un imprevisto, la tensione di un muscolo, il movimento delle labbra, la mimica in generale – è un ottimo esercizio e uno spunto d’ispirazione sia per il teatro che per la scrittura.
Cantante, scrittrice, ma anche insegnante di canto e terapista per adulti e bambini. Possiamo dire che Daniela Lojarro professionalmente è una donna realizzata. Ma cosa sognavi di fare da bambina? A 6 anni saresti voluta diventare…?
È stato proprio a 6 anni che ho deciso di diventata cantante lirica. C’è stato un periodo però, quando ne avevo 8, in cui il mio sogno è stato fare la turista. Alla fine sono stata accontentata su entrambi i fronti: cantando ho avuto la possibilità di girare il mondo.
Nel luglio 2015 è uscito il tuo romanzo d’esordio, “Fahryon”, prima parte della saga “Il suono sacro di Arjiam”, un fantasy dove la musica, il canto e il suono rivestono un ruolo molto importante. Vuoi raccontarci qualcosa dell’opera?
I due libri edito fino a oggi (Fahryon e Il risveglio di Fahryon) sono di genere fantasy classico, quindi vagamente medioevale, ma l’ambientazione è mediterranea. Arjiam, il regno fantastico in cui ho ambientato la mia storia, è percorso da due grandi fiumi, un po’ come la Mesopotamia (Tigri ed Eufrate), che lo rendono prosperoso. Le sue città sono ricche, affollate di mercanti, guerrieri, ladri, giocolieri, avventurieri, mendicanti, danzatori, pellegrini. I mercati, simili ai suk oppure alle fiere delle nostre città europee durante il Medioevo, sono colorati e chiassosi, con bancarelle straripanti di mercanzie che provengono da ogni parte del mondo. Ho creato le mie architetture tenendo presente i fiabeschi palazzi della Spagna moresca e quelli orientali, ornati da colonne, patii, mosaici dorati, statue, affreschi e contornati da lussureggianti giardini con ruscelli e fontane. Anche i simboli di cui mi sono servita rimandano ai miti mediterranei. Per esempio l’Uroburo, il serpente che si morde la coda, è uno dei simboli che risalgono all’alba dell’umanità, presente in varie forme in molte culture, e indica il continuo rigenerarsi della vita dalla morte, l’eternità, l’unione degli opposti, Morte e Vita, Suono e Silenzio, Luce e Oscurità, all’interno dell’Uno. Dal momento che Per significa unione degli opposti e loro annullamento, ne ho fatto il simbolo del Suono Sacro, il Principio Creatore che origina l’Universo e lo anima con la sua energia. Altro animale simbolico è il Grifo. Il Grifo o Grifone è un essere alato con il becco adunco, la testa e gli artigli di aquila e il corpo di leone. Nei miti il Grifo era posto a custodia di tesori di qualsiasi genere. Sia il leone che l’aquila esprimono forza, coraggio e audacia, per questo mi è parso un simbolo adatto per i Cavalieri che custodiscono i beni più preziosi di un popolo: Giustizia e Libertà. All’inizio dell’avventura scopriamo che proprio questi due valori sono in pericolo, oltre alla Legge della Vita del Suono Sacro. Infatti, è in atto uno scontro tra gli adepti dell’Armonia e della Malia, due forme di magia che si contendono il dominio sulla vibrazione del Suono Sacro. Fahryon, neofita dell’Ordine sapienziale dell’Uroburo, e Uszrany, cavaliere dell’Ordine militare del Grifo, vi si trovano, loro malgrado, coinvolti. Le difficoltà con cui si confrontano durante la lotta permettono ai due di crescere e di diventare consapevoli del loro ruolo e delle loro responsabilità in questa guerra per il potere sul mondo e sugli uomini. I nemici e gli ambienti che si trovano ad affrontare, però, sono totalmente differenti: Fahryon si muove nell’ambito della magia legata alle vibrazioni del Suono Sacro e quindi su un piano spirituale intriso di esoterismo; Uszrany, invece, come Cavaliere, rappresenta la parte epica del romanzo con duelli, intrighi politici e guerre civili. A fare da tramite fra questi due mondi c’è l’affascinante nobile Mazdraan: un tempo Magh, ora Primo Cavaliere del regno di Arjiam, che tiene le fila del complotto politico ma anche di quello “magico”.
Come è nata l’idea per il libro? C’è qualcosa – o qualcuno – da cui hai tratto ispirazione?
L’idea di questo mondo è nata da una forte impatto visivo ed emotivo avuto visitando la Gola del Furlo e un scavo archeologico in corso a Fossombrone nelle Marche. La strada romana a picco sul torrente e l’antichissima galleria scavata nella roccia si sono trasformate nella strada e nel portale che mi hanno condotto ad Arjiam dove ho trovato i personaggi in attesa … o in cerca d’autore! Infatti, i personaggi principali si sono manifestati per primi e fin dall’inizio abbastanza chiaramente. Però, prima di buttarmi nelle loro vicende, ho creato minuziosamente la storia, la società, il tipo di cultura, l’architettura del mondo in cui si sarebbero trovati ad agire: senza queste premesse sarebbe stato per me impossibile delineare lo sviluppo di un personaggio all’interno di quel contesto. Non era mia intenzione usare la magia a casaccio o come deus ex machina per cavare d’impaccio i protagonisti e far progredire l’intreccio: la magia di Arjiam è vincolata a precise condizioni e i personaggi, nello scontro tra Armonia e Malia, sono a loro volta vincolati. Lo sviluppo delle idee di base mi ha preso molto tempo. Poi ho scritto di getto, lasciando di tanto in tanto “riposare” il testo, per riprenderlo in mano successivamente, completando a strati, ampliando, eliminando, spostando o inserendo nuovi personaggi. Avevo chiari in mente il punto d’inizio e la fine, ma la strada per congiungerli è stata una continua evoluzione.
E come sei arrivata alla pubblicazione per GDS? Hai dovuto bussare a molte porte prima di ricevere l’atteso sì, oppure il tuo percorso è stato lineare e tutto sommato fortunato?
Sono arrivata a GDS su consiglio di un’altra autrice-agente, Francesca Costantino, incontrata in un gruppo su Facebook. Avevo già guardato centinaia di siti di editori ma o non mi convincevano del tutto in sé oppure le risposte che avevo ricevuto dopo aver inviato il manoscritto non erano state soddisfacenti.
A dicembre è uscito “Il risveglio di Fahryon”, sequel del tuo primo romanzo. La saga è conclusa, oppure c’è ancora molto da raccontare?
Questa storia in particolare è conclusa, ma sto già lavorando a un’altra dove compariranno alcuni dei personaggi di Fahryon. La narrazione, però, sarà in parte ambientata nel regno di Bahvjimmar, abitato dai secolari nemici di Arjiam, con nuovi personaggi, nuove terre, popoli scomparsi e culti dimenticati. Cosa nascerà dall’incontro tra vecchi e nuovi eroi? Oppure sarà uno scontro? Chissà.
Come abbiamo detto i tuoi libri sono editi da GDS. Come ti sei trovata a lavorare con loro?
La GDS è una piccola casa editrice, occupata soprattutto sul versante digitale. Che dire di loro. Sono corretti in partenza, perché non richiedono contributi agli autori; nella fase di preparazione alla pubblicazione si sono impegnati molto nella ricerca della copertina adatta, e nella correzione delle bozze per ottenere un buon risultato. Per quanto riguarda la post-pubblicazione, quindi la promozione del romanzo, tendenti al latitante. Se confronto la mia esperienza con quella di altri autori, comunque, non posso dire di essere capitata male.
E avresti preso in considerazione anche strade alternative – il self publishing, ad esempio – se tu non avessi trovato un editore interessato al tuo progetto?
Sì, certamente. Avevo iniziato a informarmi su Amazon e altre piattaforme che propongono l’auto-pubblicazione. Poi, tramite Francesca Costantino, autrice e agente conosciuta su Facebook, sono arrivati a GDS.
Il tuo lavoro ti ha portato spesso in giro per il mondo – ti sei esibita sui più prestigiosi palcoscenici in Europa, negli Stati Uniti, in Sud Corea, in Sud Africa. Mai pensato di scrivere un libro sul mondo dell’opera, o ispirandoti a una delle eroine tragiche più o meno note?
No, sinceramente non mi è mai venuta l’idea e non saprei spiegarvene il motivo. Ho letto alcuni romanzi anche molto belli incentrati su una “Primadonna” o su dei musicisti, ma non ho mai avuto la spinta interiore a scrivere del/sul mondo del teatro. Ma… mai dire mai.
Scusaci la digressione. Dicevamo che hai viaggiato molto. Ti è capitato di entrare in contatto con il panorama editoriale fuori dall’Italia? Le possibilità all’estero sono le stesse che da noi, oppure come molti affermano, l’apertura alle novità è maggiore?
Non sono mai entrata direttamente in contatto con il panorama editoriale estero. Indirettamente, invece, so da amiche traduttrice ed editor che hanno contatti di lavoro con case editrice di lingua inglese che, crisi generale della lettura e del cartaceo a parte, le CE straniere sono più intraprendenti, più impegnate nella promozione e, soprattutto, che considerano lo “scrivere” un lavoro che quindi merita di essere remunerato. Non so dire se sia così a tutti i livelli, come dicevo non ho un’esperienza diretta.
Come valuti, da autrice esordiente, la situazione editoriale italiana? C’è apertura verso i giovani e le nuove idee? E quanto ha cambiato il panorama l’auto-pubblicazione e il mercato digitale?
Stabilito che le case editrici sono in difficoltà un po’ in tutto il mondo, si può dire che in Italia si risente della mancanza di uno zoccolo duro di lettori. Innanzitutto, l’impoverimento culturale è un dato di fatto e riguarda tutte le fasce d’età e sociali: siamo un Paese che scrive ma che non legge! Le case editrici si muovono troppo lentamente nel promuovere la rivoluzione digitale. Inoltre, non sono creative, cioè assorbono passivamente le mode dal mercato anglosassone ma non sono capaci di crearne di originali puntando sui talenti italiani, preferendo sempre le traduzioni. C’è spazzatura, è vero, ma se si ha un occhio attento sul web si possono scoprire emergenti che hanno idee originali e che sanno scrivere. Solo che non basta scoprirli, bisogna anche aiutarli a crescere e promuoverli – pure sotto questo aspetto l’editoria italiana langue. Incapacità di trovare pubblico e di interessarlo, carenza nel digitale, pigrizia nel cercare talenti, mancanza di promozione: questi sarebbero i punti che l’editoria dovrebbe, quanto meno, migliorare. Dell’editoria a pagamento non parlo neppure, non è editoria ma tipografia.
L’auto-pubblicazione è una soluzione, ma solo se si ha la possibilità di sottoporre il testo a un editing accurato. Pubblicare non è più un’impresa impossibile, riservata a pochi, oggi, ma è difficile trovare la qualità in questo marasma di titoli. Affidarsi a un agente che faccia da intermediario potrebbe essere una soluzione, ma trovarne uno che sappia fare veramente il suo lavoro (presentare il manoscritto in maniera adeguata, capire verso quale casa editrice indirizzarlo, avere i contatti giusti, martellare per ottenere ascolto e risposte, seguire la fase contrattuale, la pubblicazione, la promozione) è difficile come trovare una buona casa editrice. È un lavoro che certamente va remunerato, ma la maggioranza degli agenti con cui ho avuto a che fare puntano su un introito immediato, ma spesso non hanno le capacità per portare avanti un progetto in maniera strutturale e a lungo termine. Un problema che, d’altra parte, si trova pure nel teatro. Dalla mia esperienza posso dire che editoria e teatro sono simili: bisogna stare attenti agli squali.
Grazie anche al digitale, i libri di giovani emergenti si moltiplicano. Secondo te esiste una formula magica per sfondare? Il talento, prima o dopo, viene premiato o è anche una questione di fortuna?
Non credo esista una tecnica promozionale efficace in senso assoluto: ognuno deve trovare la sua strada. Io ho venduto tenendo presentazioni e attraverso la promozione sui social ma, per esempio, sono una frana nelle fiere: passo più tempo fra gli stand che a promuovere il mio libro. Il talento viene sempre premiato? Non necessariamente. Per esempio, nel caso di uno scrittore, si tratta di trovare i contatti giusti e avere un manoscritto che in quel momento rientri nelle linee editoriali e, purtroppo, anche nella moda del momento. Dopo il successo internazionale di 50 sfumature di grigio o di certe serie televisive, sul mercato i romanzi più o meno rosa, più o meno erotici vanno per la maggiore. Fino all’anno scorso imperversavano angeli e vampiri.
Se dovessi descrivere in poche parole Daniela Lojarro autrice?
Scrittrice o cantante o terapista non fa differenza: direi che in tutte le mie attività metto passione, desiderio di comunicare e di guardarsi dentro lasciandosi andare all’emozione più profonda, cioè vivere.
Di scrittura si può ancora vivere o è meglio avere un lavoro complementare? Si sente spesso dire che la cultura, in Italia, non paga e non dà nemmeno da mangiare. Tu come fai a pagare le bollette a fine mese?
Sicuramente non pago le bollette con i proventi della scrittura. Fino ad ora non ho mai incontrato uno scrittore che ci riuscisse… escludendo ovviamente i pochi noti. È vero, però, che in Italia la cultura in generale è negletta, non considerata un valore che può creare lavoro e anche generare introiti, ad esempio turistici. Siamo il paese del Melodramma e non abbiamo un festival (vero, che funzioni e che produca, non solo che ingoi, denaro) dedicato al nostro compositore più famoso, G. Verdi: Salisburgo, città natale di W. A. Mozart, vive tutto l’anno del turismo generato dal festival, come Vienna da quello prodotto del concerto di Capodanno oltre naturalmente dalle bellezze naturali o museali. Non parliamo dei siti archeologici italiani: Paestum, per esempio, o la villa di Adriano a Tivoli sono in pericolo, il primo perché si vorrebbe costruire un inceneritore poco distante, l’altra per un non ben identificato progetto di sviluppo edilizio ludico. D’altra parte, un paese che si preclude la ricerca, che taglia i fondi alla scuola di qualità ha già il destino segnato. Victor Hugo diceva che aprire le porte di una scuola, significa chiudere quelle di una prigione (cito parafrasando), e non intendeva solo le prigioni come istituti di pena ma anche quelle mentali.
L’Istat riporta che 6 italiani su 10 non hanno letto neppure un libro nel 2015 e che, anche tra i cosiddetti lettori, pochi hanno superato quota tre libri letti. Oltre che autrice, sei anche una lettrice? E quanto è sconfortante, quando si lavora a un romanzo, sapere che le possibilità che qualcuno lo legga, in Italia, sono poche?
Sono una lettrice accanita, quindi non posso pensare che si possa scrivere un libro senza averne letti in abbondanza. Amo i romanzi storici, specialmente quelli anglosassoni, la letteratura francese, i saggi di archeologia e cosmogonia, quelli sulla musica e sul suono in generale, i fantasy, e non disdegno nemmeno i thriller. Quando scrivo, non mi lascio condizionare dall’idea di quanti mi leggeranno, mi auguro più che altro di trovare lettori che si lascino coinvolgere dal mio mondo. Pochi, molti, non influisce sulla mia scrittura.
Un libro letto nel 2015 che ti sentiresti di consigliare (oltre ai tuoi romanzi, s’intende)?
Le quaranta porte di Elif Shafak.
Progetti per il futuro, prossimo e meno prossimo?
Riguardo alla scrittura, come ho già detto, un terzo episodio della saga.
E sogno nel cassetto?
Mi piacerebbe dar vita a un progetto in cui i giovani possano scoprire l’importanza della Bellezza, un progetto in cui arti visive, musica e scrittura si compenetrino per far germogliare nuove idee ed esperienze.
Grazie a Daniela Lojarro per essere stata con noi e in bocca al lupo per i progetti futuri e la sua bella, multiforme, carriera.