Attori non ci si improvvisa: servono dedizione, studio e pazienza, per sperare di arrivare da qualche parte. Lo sa bene Orazio Cerino, l’attore e autore italiano protagonista della nostra intervista di oggi.
Di sé dice di non essersi ancora affermato, ma di avere appena concluso il periodo di formazione. Ciò nonostante, ha già alle spalle diverse esperienze di spessore. Nel 2008 ha preso parte allo spettacolo “Totò 110 e lode” con la regia di Vito Molinari; dal 2009 al 2013 ha collaborato con il “Teatro dell’osso” e con l’ autore e regista Mirko di Martino, con una produzione rivolta soprattutto al teatro ragazzi e al teatro civile. È stato protagonista, tra gli altri, negli spettacoli “Ragazzi di Camorra”, “L’uomo, la bestia e la virtù”, “Le smanie della villeggiatura”, “Il fulmine nella terra”, monologo sul terremoto dell’80 e “Romeo e Giiulietta”.
Dal 2011 collabora con il Giffoni Film Festival, dal 2012 con Le Nuvole Teatro Stabile d’Innovazione per le nuove generazioni. L’incontro con la disegnatrice Clelia Bove ha dato il via al progetto “Il carretto dei sogni” – teatro instabile d’immaginazione, attualmente in scena con lo spettacolo Nasorosso, di cui è autore e regista, che ha debuttato al Giffoni Film Festival a luglio del 2013.
Abbiamo intervistato Orazio Cerino per Parole a Colori, per parlare di come intende, lui, la professione di attore, ma anche del suo rapporto con i giovani e con la politica italiana.
Ciao Orazio. Inizio col chiederti come e quando è nata in te la passione per la recitazione?
A scuola, nel ’95, avevo 15 anni, per “colpa” di un corso pomeridiano di teatro. Lo spettacolo che dovevamo mettere in scena era ‘Quei figuri di trent’anni fa’ di Eduardo De Filippo e l’insegnante (o “esperto” come si chiamerebbe oggi) era il prof. Carmine De Pascale. Fu il classico colpo di fulmine, m’innamorai del teatro. Anche se a dire il vero, penso che l’amore fosse sbocciato anni prima. Ho dei vaghi ricordi di me bambino, a teatro con la scuola, e di una forte attrazione per il palcoscenico e per ciò che vi era sopra. Non lo so spiegare, ma ogni tanto ritorna questo flashback. Comunque, ritornando al ’95, fu un successo. Ricordo le parole della vicepreside della scuola, che dopo la rappresentazione mi disse (cito testualmente): “Ah, Orazio, se ti impegnassi nello studio la metà di come ti sei impegnato per fare il teatro non avresti alcun problema”. I problemi, ovviamente, continuai ad averli. Con la scuola, però, perché con il teatro continuai a impegnarmi.
Alle spalle hai già una bella carriera come attore. C’è qualche ruolo in particolare che ti è rimasto nel cuore?
Più che una bella carriera, io la definirei una bella gavetta che spero possa essere l’inizio di una carriera promettente. Ogni ruolo ti resta nel cuore. Quello che hai interpretato per più tempo, quello del primo monologo, il Romeo di Shakespeare, il Paolino di Pirandello. È come chiedere a un padre se ama un figlio più di un altro. Amo ogni ruolo per un motivo unico e diverso: per il momento in cui è arrivato, per la quantità di tempo che ci ho passato insieme; per quello che mi ha portato, perché ha segnato un passaggio fondamentale del mio percorso o semplicemente perché è l’ultimo che ho interpretato.
E invece una parte che, tornando indietro, non accetteresti?
Di contro, non sono i ruoli a essere sbagliati, perché quelli, in un modo o nell’altro, ti insegnano sempre qualcosa, e io, oggi, come attore, sono il frutto dei ruoli e dei personaggi che ho incontrato durante il mio percorso. Dicevo, non sono i ruoli a essere sbagliati, ma gli spettacoli, i registi che agitano l’aria e che non hanno nulla da dire. Quelli sì che li eviterei.
Sei un attore che ama raccontare storie vere, ricche di umanità e nello stesso tempo di critica (ricordiamo “Un Fulmine nella Terra – Irpinia80” e “Condannato a morte” di Victor Hugo). Quali sono i tuoi criteri per scegliere un copione?
Purtroppo, per le difficoltà teatrali di oggi, è difficile per un attore poter scegliere un copione, perché voler scegliere significa correre il rischio di non lavorare o di lavorare poco. È quanto accaduto a me negli ultimi anni in cui ho scelto di lavorare su alcuni progetti piuttosto che su altri – tra questi i citati “Fulmine nella terra” di Mirko di Martino e “Condannato a morte” per la regia di Davide Sacco. Comunque, in teatro non si sceglie tanto il testo quanto la compagnia con cui lavorare, oppure, e io prediligo questa opzione, il regista. Magari si è rimasti colpiti da un suo lavoro e allora lavorare con lui affascina, oppure se ne è sentito parlare bene o ancora a pelle si prova quella sensazione di disponibilità reciproca. Credo più nell’intesa di uno sguardo che nei progetti a tavolino di cui si parla per anni. Altre volte, purtroppo, la scelta avviene anche per ragioni economiche, perché magari in quel periodo c’è poco lavoro. Ma questo non toglie nulla all’impegno profuso. Ai fini del mio lavoro non cambia niente, semplicemente, potendomelo permettere, non l’avrei scelto. Di base, però, cerco storie con cui la gente possa immedesimarsi o empatizzare. Cerco storie che mi diano e che riportino verità, perché altrimenti corro il rischio di non crederci neanche io e quel punto, come vuoi che mi creda lo spettatore?
Parliamo degli inizi: tanto lavoro prima di ottenere dei risultati oppure hai avuto la fortuna di essere notato da qualcuno del settore e le cose sono poi andate avanti da sé?
Parliamo degli inizi e quindi parliamo di adesso, perché sono ancora qui, ho fatto solo pochi passi. I risultati che sono arrivati sono frutto di tanto lavoro, studio e sacrifici. So che può sembrare un frase stereotipata, ma è così. Se parliamo di essere stato notato, no a me non è successo. Chi mi ha dato fiducia l’ha fatto perché ha avuto modo di confrontarsi con me e posso immaginare che il mio modo di intendere il lavoro sia piaciuto. O forse avrà avuto la sensazione positiva, a pelle, a cui accennavo prima quando parlavamo di registi. Attestati di stima ne ho avuti molti, anche da persone note nell’ambiente teatrale e cinematografico, ma nulla di più. Parole che non possono non fare piacere, ma che a volte alimentano anche false speranze.
Ci sono dei modelli, nel campo della recitazione e non, a cui ti ispiri?
Potrei fare mille nomi, da Al Pacino a Gassmann (padre), da Di Caprio a Gassmann (figlio), o Mastroianni piuttosto che Favino. Ci sono tantissimi bravi attori che un giovane artista potrebbe prendere a modello, ma secondo me basta guardare a chi lavora onestamente per trovare l’ispirazione, indipendentemente dalla professione che svolge. Può ispirarmi un barista, un cameriere, un tassista, persone che alla fine di una giornata di lavoro ti accolgono con il sorriso e con la gentilezza delle prime ore del mattino. Ecco, quello sì che m’ispira: il rispetto. Il rispetto per chi viene a vederti a teatro o al cinema. L’onestà lavorativa.
Calcare il palcoscenico o recitare in un film sono un po’ il sogno di giovani e meno giovani. Ma come si diventa, in pratica, attori in Italia?
Mi verrebbe da dire con lo studio, ma in quanto a meritocrazia l’Italia è un fanalino di coda. Nonostante questo, penso che l’impegno costante, lo studio, il sacrificio e soprattutto la pazienza siano gli strumenti adatti per provare a fare questo mestiere. Dico provare e dico pazienza, perché un giorno sì e uno pure butteresti tutto dalla finestra, quando vedi che quel provino è andato male, quando tutti intorno a te ti dicono che sei bravo, ma tu non riesci ad aprire la porta giusta che potrebbe darti, almeno a tua parere, la gratificazione giusta. Se mi posso permettere, comunque, io direi di partire dallo studio dell’uso del corpo, che spesso in Italia lasciamo in balia di se stesso. Troppe volte capita di ascoltare, sul palco, voci che dicono l’esatto contrario di ciò che raccontano i corpi. Per fare l’attore, io partirei dal corpo. E non improvvisatevi. Non si diventa attori perché si è belli o simpatici. Non solo, almeno.
Sui social non nascondi simpatie grilline anzi, se vogliamo, sei quasi un convinto attivista del Movimento 5 Stelle. Entriamo nel mondo delle ipotesi: ti svegli domani Ministro dei beni culturali, poltrona alquanto scomoda, qui da noi. Quali sarebbero i primi provvedimenti che vorresti attuare per rivoluzionare il settore?
Ho iniziato a informarmi sulle attività del movimento attraverso Internet e il blog, visto che telegiornali e giornali o li ignoravano o pilotavano le informazioni a proprio piacimento, e ho potuto apprezzare il lavoro che “i grillini” svolgono da quando sono all’opposizione. Qualche domanda fa parlavo di onestà: quello che mi ha convinto del Movimento 5 stelle è proprio che svolgono il loro lavoro onestamente e giocano a carte scoperte. Si sono dimezzati lo stipendio e hanno rinunciato a 46 milioni di rimborsi elettorali. Questi sono fatti, non sono chiacchiere da campagna elettorale. Hanno agito e l’hanno fatto per il bene comune. A oggi sono un convinto sostenitore, ma non mi posso definire un’attivista – non perché io non voglia sbilanciarmi, ma perché gli attivisti fanno molto più di quello che faccio io. Io divulgo, condivido, intavolo discussioni sui social, e nella vita reale spesso giro con una spilla del Movimento 5 stelle e questo fa sì che un sacco di persone inizino a farmi domande, a cui io sono ben contento di rispondere. Penso che noi cittadini dobbiamo ritornare a interessarci della politica e penso che merito del Movimento sia proprio quello di aver riportato questo argomento tra la gente. Per quanto riguarda la nostra ipotesi, non penso di poter rispondere. Ci sono troppi “se” e troppi “ma” tra me e quella poltrona. Tu la definisci scomoda, ma questo aggettivo è figlio di un sistema politico sbagliato. In un ipotetico governo che immagino io, quella poltrona non sarebbe tanto scomoda.
Nel nostro Paese il talento non sempre viene premiato e riconosciuto. Tu calchi da tempo il palcoscenico e conservi la passione per il mestiere. Cosa ti sentiresti di dire a un giovane spettatore per spingerlo a frequentare il teatro, magari come alternativa al cinema e alla tv?
Allo spettatore non avrei nulla da dire. Avrei più da dire ai teatri pubblici e alle compagnie. I primi dovrebbero investire nelle giovani compagnie per permettere loro di formarsi e di formare un pubblico che nel corso degli anni le seguirà. Alle seconde vorrei dire di lavorare bene e onestamente (scusate, è quasi un’ossessione) perché se il pubblico non va più a teatro non è certo colpa del cinema, della tv o del web series. È colpa del cattivo teatro. Parafrasando una frase di Roberto Benigni sul cinema, mi verrebbe da dire: cominciamo noi a riempire i palchi e poi vediamo se non si riempiono anche le platee.
Meglio essere un attore stimato a teatro, ma magari con il conto in banca in rosso, o un attore applaudito di fiction, ma disprezzato dai critici?
Un attore stimato a teatro, al cinema o in tv, e apprezzato dai critici. E magari con il conto in banca in attivo.
Che progetti hai per il prossimo futuro? Insomma, dove possiamo vederti nel presente e nel prossimo futuro?
Quest’estate e il prossimo inverno riprenderà lo spettacolo “Condannato a morte. The punk Version” (Avamposto Teatro) e a giugno debutteremo con lo spettacolo “Cronos” di Giovanni Del Prete (Caravan Teatro), spettacolo selezionato per l’E45 NAPOLI FRINGE FESTIVAL 2015. In autunno riprenderemo “Romeo e Giulietta” (Regia di Carmen Pommella – Le pecore nere srl) e vari altri progetti attualmente ancora su carta, ma che spero possano concretizzarsi al più presto.
Come ti vedi, diciamo, tra cinque anni?
In una situazione politico-sociale migliore. E spero di trovarmi a cena con la mia compagna e due bambini.
Grazie per esserti raccontato sul nostro sito e ovviamente ti facciamo un grande in bocca al lupo per la tua carriera. Vuoi aggiungere qualcosa?
Grazie a voi per avermi ascoltato. E lunga vita al lupo.