Intervista alla regista Marta Savina

Il suo cortometraggio “Viola, Franca”, con Claudia Gusmano, è stato selezionato in concorso al Tribeca Film Festival

La regista Marta Savina. ©Charley Fazio

È sempre emozionante e stimolante, per chi come me ama il cinema, avere la possibilità di conoscere volti nuovi del settore, non solo attori, ma registi, sceneggiatori, addetti ai costumi o agli effetti speciali.

Chissà che tra loro non si nasconda il prossimo Leonardo Di Caprio o Quentin Tarantino.

Oggi su Parole a Colori abbiamo il piacere di intervistare Marta Savina, talentuosa regista e sceneggiatrice che sta facendo parlare di sé con il cortometraggio “Viola, Franca”, selezionato in concorso al Tribeca Film Festival (solo altri cinque lavori italiani l’hanno preceduta negli ultimi 15 anni).

Il cortometraggio, che racconta la storia vera di Franca Viola, prima donna a sottrarsi al matrimonio riparatore nel 1965, è stato girato in sei giorni, a Galati Mamertino, un paesino di 2.000 persone vicino ad Alcamo, dove si sono svolti i fatti.

Nel cast Claudia Gusmano, Carlo Calderone, Ninni Bruschetta, Maurizio Puglisi.

 

Ciao Marta, grazie per accettato il nostro invito.

Grazie a voi!

Iniziamo con le presentazioni. Chi è Marta Savina quando non sta dietro la macchina da presa?

Me lo chiedo anche io da trent’anni, e penso di aver collezionato una serie di risposte fin troppo eterogenee. Solo due le costanti: l’indisciplinato istinto di tuffarmi in avventure un po’ spericolate (come fare un film, per esempio!) e l’amore incondizionato per i cani – in particolare per la mia Labrador, Miranda.

E la regista, invece? Come ti vedi e come credi che ti vedano gli altri?

Vedere se stessi è sempre un’operazione complessa, perché non c’è prospettiva. Mi sento in continua ricerca e scoperta, e credo che questo sia scomodo ma necessario per progredire, a qualunque stadio della propria carriera. Gli altri, temo che mi vedano come una specie di molla impazzita, irrequieta, sempre in tensione verso il prossimo obiettivo.

La regista Marta Savina ©Giulia Fassina

Sei nata e cresciuta in Italia, ma il tuo percorso, di studi prima, professionale poi, si è svolto all’estero. Una scelta voluta? Oppure una necessità, per provare a realizzare i tuoi sogni?

Una scelta fortemente voluta prima, e diventata poi necessaria. Quando sono partita quasi 10 anni fa è stato come salire su un treno con la voglia di viaggiare ma senza sapere esattamente dove quel viaggio mi avrebbe portata. Un po’ inaspettatamente sono finita a Los Angeles dove ho trovato persone curiose di ascoltare le mie storie – inevitabilmente italianissime. Per adesso quindi sono qua, ma spero di riprendere un treno a un certo punto, questa volta verso casa.

Il tuo cortometraggio “Viola, Franca” sta facendo parlare di sé, essendo stato selezionato di recente per il Tribeca Film Festival. Come ti senti, a concorrere in un festival di questa portata?

Onorata, e un po’ onerata pure, perché per natura sono abbastanza schiva. Mi fa tenerezza, però, pensare che un piccolo film, incentrato sul personaggio di una ragazzina diciottenne, girato da una manciata di siciliani in un paesino arroccato sui monti Nebrodi, abbia la possibilità di essere presentato a un pubblico vasto come quello del Tribeca. Non penso che avremmo potuto trovare un palcoscenico migliore per il nostro debutto, e sono molto felice che una storia così Italiana, e Siciliana, stia avendo la risonanza che merita. Penso che sia la dimostrazione che si può fare del cinema interessante in Sicilia senza rigurgitare l’ennesima storia di mafia.

Frasi di rito a parte, ti aspettavi un riconoscimento del genere per il tuo lavoro?

Ho sempre avuto fiducia nella storia, e sapevo che il personaggio di Franca avrebbe conquistato molte persone come aveva conquistato me, ma, detto questo, non mi domando mai se un film avrà successo prima di cominciarlo. Semplicemente, ho sentito il bisogno impellente di raccontare una storia che mi aveva conquistata, e mi sono lanciata a capofitto. Sono contenta che il riconoscimento sia arrivato soprattutto perché è una conferma tangibile dell’impegno, del talento e della passione che tutto il cast e la troupe hanno messo in questo progetto.

Claudia Gusmano in una scena del cortometraggio “Viola, Franca”.

Franca Viola, per chi non lo sapesse, è stata la prima donna italiana a rifiutare il matrimonio riparatore, nel 1965, diventando poi un simbolo di emancipazione. Perché hai scelto lei?

Mi è sembrato sconvolgente che nessuno conoscesse la sua vicenda, specialmente in un momento storico come quello in cui viviamo, dove le violenze e il femminicidio sono purtroppo all’ordine del giorno, e così ho voluto raccontarla io. Franca è un modello di coraggio, speranza e incredibile consapevolezza del proprio sé che tutti dovrebbero conoscere, specialmente le giovani ragazze e donne, che spero possano trovare in questo personaggio un punto di riferimento per capire che si può dire no a testa alta anche quando tutto sembra perduto, mantenendo intatta la propria dignità.

Quanto tempo hai impiegato per scrivere la sceneggiatura e poi per mettere su la produzione?

Io e Andrea (Brusa ndr) abbiamo cominciato a incontrarci durante l’estate, un anno prima delle riprese, e abbiamo scritto e riscritto per circa sei mesi – che sembra tantissimo per una sceneggiatura di 15 pagine, ma per me tutto parte da lì, dalla storia. È inutile andare sul set se la storia traballa. A confronto, mettere in piedi la produzione è stato molto più rapido: io e i miei co-produttori, Gregory Rossi e Tatiana Vecchio, abbiamo cominciato a lavorare a marzo, e le riprese sono partite a giugno.

Franca Viola è notoriamente molto schiva, quando si tratta di interviste e apparizioni pubbliche. Tu personalmente hai avuto modo di incontrarla e conoscerla?

Proprio per rispetto nei confronti della sua riservatezza mi permetto di glissare su questa domanda. Dico solo che porteremo il corto ad Alcamo a dicembre, e sono molto più emozionata per questa proiezione che per quella a Tribeca, con tutto il rispetto per gli amici Americani.

E cosa ci dici, invece, del cast? Per il ruolo della protagonista hai scelto l’attrice Claudia Gusmano. Hai capito subito di volere lei oppure sono stati necessari molti provini?

Con Claudia è stato un colpo di fulmine. Ho capito che era la perfetta Franca non appena si è seduta davanti a me, prima ancora di cominciare il provino vero e proprio. Poi ha cominciato a riprendermi perché non sapevo la differenza fra cozze e patelle, e lì ho capito che avremmo lavorato bene insieme. Anche per quanto riguarda Carlo (Calderone, ndr) è stata una decisione di pancia. È entrato al provino già in parte e ha immediatamente mostrato grande tecnica e talento. Ho richiamato sia lui che Claudia una seconda volta per vederli lavorare insieme, e fin da subito c’è stata una totale intesa tra i due.

Per i ruoli di Bernardo Viola e Don Valerio, io e la mia casting director Adriana Ciampi siamo andate a colpo sicuro scritturando Ninni Bruschetta e Maurizio Puglisi, grandi amici nella vita reale tramutati in antagonisti sul set, due veterani di grandissimo calibro con cui mi ritengo fortunata di aver potuto lavorare. Tutti gli altri attori e figuranti sono stati scelti fra gli abitanti di Galati Mamertino, il paese dove abbiamo girato, e per questo ringrazio il mio braccio destro e segretario di produzione Antonio Emanuele che è stato un aiuto fondamentale nel trovare alcuni personaggi secondari.

E com’è stato il lavoro sul set?

Intenso, meticoloso, di grande condivisione artistica sia con gli attori che con la troupe, stremante a tratti ma molto gratificante. Ho lavorato in modo particolarmente intenso con Claudia, soffermandoci sull’esplorazione del personaggio e l’improvvisazione, perché il suo personaggio era incentrato sulla fisicità piuttosto che sui dialoghi. Claudia è un’attrice straordinaria, anche se non le piace sentirselo ripetere, con una grande presenza scenica e un istinto infallibile. Mi ha seguita in questo percorso con grande fiducia e generosità, mettendo nel lavoro anima e corpo, e credo che ciò si veda nel risultato finale.

Hai avuto difficoltà a lavorare in Sicilia? La Sicilia di oggi, secondo te, quando si discosta da quella degli anni ‘60 e ‘70 che hai raccontato nel tuo cortometraggio?

Lavorare in Sicilia è stato meraviglioso. Per me rappresentava un tornare a casa che avevo fortemente desiderato, e nella Sicilia di oggi ho trovato una generazione giovane, piena di voglia di fare, di curiosità, talento e determinazione nonostante le circostanze spesso avverse. La Sicilia mi ha dato la possibilità di incontrare e collaborare con professionisti d’eccellenza come Marcello di Carlo (scenografo), Francesca Rodi (costumista) ed Helena di Fatta (make up), siciliani DOC. Di loro, oltre all’innegabile talento, mi hanno colpito la generosità, la fiducia e l’entusiasmo con cui si sono lanciati in questo progetto. Sicuramente vorrei continuare a portarmeli dietro nei prossimi lavori, una specie di “sicilian posse” come la definirebbero gli Americani, un entourage di fiducia.

 

Avendolo visto in anteprima, possiamo assicurare che “Viola, Franca” scuote lo spettatore, e quasi si rimane male che sia così breve. Possiamo aspettarci una ripresa della storia in futuro, magari in un format diverso?

Mi fa piacere sentire dire questo, perché il corto è nato proprio con l’idea di lasciare lo spettatore con la voglia di vedere di più. Non posso ancora rivelare molto, ma lavoriamo da diversi mesi al lungometraggio, una co-produzione Italia-USA. Speriamo di poter dare presto notizie più ufficiali.

Registi di riferimento?

Federico Fellini, Agnés Varda e Chantal Akerman sono la mia triade sacra. Fra i contemporanei, mi piacciono molto Christian Mungiu, Lynne Ramsay, Deniz Gamze Ergüven e Kelly Reichardt.

E film che secondo te un bravo regista non può non avere visto?

“8 1/2”, “La Pointe Courte”, “Donne sull’orlo di una crisi di nervi”, L’appartamento, “La conversazione”, “Il laureato”: sono tutte masterclass, ognuna su un aspetto diverso del cinema. E poi, a parte, devo citare “Il ciclone” di Pieraccioni: non mi vergogno di dire che lo so interamente a memoria da quando avevo 11 anni.

Ci sono attori italiani con cui ti piacerebbe particolarmente lavorare in futuro?

Molti, Valeria Bruni Tedeschi in primis, ma in Italia abbiamo bravissimi attori che non vengono valorizzati come meriterebbero, e personalmente sono sempre alla ricerca di un talento nascosto che aspetta solo di essere scoperto – per un regista è una soddisfazione grande quanto quella di lavorare con un “nome”.

Prima di salutarci, come si vede Marta Savina, diciamo, tra dieci anni?

Marta Savina vede bene solo da vicino, 10 anni sono un po’ fuori raggio, e poi i miei piani vengono regolarmente mandati all’aria da un incontro, una coincidenza, un imprevisto. Quindi ho imparato a non farne di troppo precisi. Sicuramente sarò sempre dietro una macchina da presa, per il resto, largo alla fantasia.

Grazie a Marta Savina per essere stata con noi. Incrociamo le dita per il Tribeca.