Intervista all’autrice Chiara Passilongo

Chiara Passilongo è nata a Verona – città dove vive ancora oggi e che sente di amare – all’inizio degli anni ’80. Dopo il liceo scientifico si è laureata in odontoiatria, ma non ha mai dimenticato il primo, grande amore, quello per la scrittura.

A Rovigo ha frequentato la scuola di scrittura Palomar di Mattia Signorini. È durante questo percorso che ha preso vita il suo primo romanzo, poi edito da Mondadori, “La parabole delle stelle cadenti” (qui potete leggere la recensione). L’idea di scrivere un libro sull’ascesa e caduta di una famiglia italiana la solleticava da tempo, ma è stato grazie ai consigli e al supporto degli insegnanti, e del marito, che il progetto è diventato quello che è oggi.

Abbiamo parlato con Chiara Passilongo del suo esordio col botto, delle difficoltà di fare editoria in Italia e di molto altro ancora.

Chiara Passilongo, La parabola delle stelle cadenti

Ciao Chiara, è un piacere averti qui con noi su Parole a Colori.

Iniziamo parlando un po’ di te. Come ti descriveresti, usando solo poche parole?

Una persona inquieta, alla ricerca di un centro di gravità permanente.

Quando è nata la tua passione per la scrittura?

Ho iniziato a sette anni, scrivendo il primo raccontino. Un ispettore di polizia italiano doveva indagare a Caracas su una faccenda di smeraldi rubati. Strano, se ci ripenso oggi, perché il giallo non è mai stato il mio genere preferito. A questo sono seguite le avventure di un ragazzino londinese (ma perché?) durante la Seconda guerra mondiale, scritte alla fine delle elementari. E poi una ridda di romanzi iniziati e abbandonati, fino all’università.

Hai sempre saputo di voler fare questo nella vita? Chiara a dieci anni voleva diventare…?

In realtà la vita mi ha portato su altre strade, dato che sono un’odontoiatra. Però ho sempre saputo che la scrittura sarebbe stata una parte di me. Sì, a dieci anni dicevo che volevo fare la scrittrice, e la risposta dei miei genitori era, prevedibilmente, una cosa come “prima trovati un lavoro vero, poi, se vuoi, scrivi”. Credo che sia capitato così a tanti.

Hai esordito per Mondadori con il romanzo “La parabola delle stelle cadenti”. La definizione “saga familiare del nostro tempo” ti sembra azzeccata per descriverlo?

Sì, mi piace come definizione. Attraverso la famiglia Vicentini ho voluto ripercorrere, tra il dramma e la commedia, gli avvenimenti storici, politici e di costume che hanno caratterizzato l’ultimo trentennio. Il cuore del romanzo restano comunque i legami familiari, in particolar modo il rapporto genitori-figli: due generazioni s’incontrano e si scontrano, arrivando inevitabilmente a deludersi e poi, a distanza di tempo, a rivalutarsi.

Parliamo della genesi del libro. Ti sei ispirata a una – o più – storie vere oppure è tutta farina del tuo sacco?

Mi sono ispirata alla realtà che vedevo intorno a me. Alla mia generazione, composta di tanti lavoratori saltuari e precari che non vedranno forse mai una pensione. A una classe di piccoli e medi imprenditori che, con la globalizzazione e la crisi economica, ha visto il declino del proprio modo di produrre e dare lavoro. A una politica che, a forza di scandali, ha provocato il disamore e il sospetto della gente per la gestione della cosa pubblica. Ho voluto dare dei volti, dei cuori e delle anime a personaggi che interpretassero queste situazioni che sono sotto gli occhi di tutti.

Personalmente ho apprezzato molto il personaggio di Gloria, una dei figli gemelli di Achille, perché trovo che sia quella che vive la trasformazione maggiore durante la storia, da ragazzina viziata a donna forte e coraggiosa. C’è qualcosa di te nel personaggio? E ci racconti il tuo rapporto con lei?

Una cosa che ho sempre amato nei libri che leggo sono gli archi di trasformazione, per questo ho cercato di farli attraversare anche ai miei personaggi. L’ho trovato l’elemento più entusiasmante e appassionante della scrittura: vedere come i fatti e le circostanze della vita possano cambiare gli individui e i luoghi, negli anni. Gloria, da piccola, è la cocca di suo padre Achille, che credeva di avere una predilezione per i maschi e invece scopre di sciogliersi come neve al sole per “la sua bambina”. Adolescente negli anni novanta, si diverte a recitare la parte della snob, la figlia del piccolo industriale di provincia, facendo girare la testa a tanti per la sua bellezza. Ma quando l’amore arriva sotto vesti inaspettate, e lei alla fine lo lascerà andare, si costruisce un effimero castello di certezze, destinato a crollare con l’arrivo della crisi economica. Sarà quello il momento di raccattare i cocci, mandar giù bocconi amari, e far vedere a tutti che non è più la ragazzina viziata di un tempo. Ora la parte più difficile della domanda, quella personale. Al liceo ero la classica, ahimè, secchiona, per cui non ho molto da condividere con Gloria sotto quest’aspetto, né per ciò che riguarda l’infanzia particolarmente vezzeggiata. Ho in comune con lei il fatto di aver fatto delle scelte per accontentare qualcun altro. Rivivere alcuni miei errori tramite Gloria ha sicuramente avuto una funzione rappacificatrice con me stessa.

Il finale, di cui non diciamo niente per non rovinare la sorpresa a chi ancora non avesse letto il tuo romanzo, è decisamente forte, e personalmente mi ha colta di sorpresa. Hai sempre saputo di voler concludere così la tua storia? O ci sono versioni del romanzo che andavano in modo diverso?

Un personaggio come Achille Vicentini non ha mezze misure. È vero che una delle versioni iniziali, ancora a livello di sinossi, comprendeva un finale diverso, ma lui è sempre stato un uomo abituato a decidere per sé della sua vita, nel bene e nel male. Achille finisce per essere una delle stelle cadenti a cui allude anche il titolo del romanzo, “quelle stelle, più luminose di altre, che s’incendiano per attrito, attraversano il cielo con tutta la loro energia, bruciano ciò che le circonda e poi arrivano a spegnersi consumate dalle loro stesse fiamme”.

Il tuo romanzo d’esordio è stato pubblicato da Mondadori. Prima di tutto, ti senti la prova vivente del fatto che i grandi editori non puntino sempre e solo su nomi affermati, come invece si sente spesso dire?

Beh, certo. Ma mi sento anche una sorta di miracolata.

E poi, ti va di raccontarci com’è andata? Com’è che sei stata scoperta?

Due anni e mezzo fa stavo leggendo sull’inserto del Corriere della Sera un bellissimo racconto quando mi resi conto che il suo autore era un giovane scrittore veneto, Mattia Signorini, che aveva appena fondato una scuola di scrittura a Rovigo: la Palomar. Decisi così di mandare un mio pezzo per le selezioni e fui accettata. Avevo già in mente il tema del libro: ascesa, caduta e rinascita di una famiglia. Ho scritto il libro in un anno e mezzo, e alla fine, il risultato ha entusiasmato Mattia e la editor Giulia Belloni. A quel punto le prime trenta pagine sono state date in lettura a quella che poi è diventata la mia agente, Vicki Satlow, che ne è rimasta colpita e ha voluto leggere tutto il dattiloscritto. Qualche settimana dopo Vicki mi ha chiamata per dirmi che il romanzo era piaciuto molto anche a Giulia Ichino e Antonio Franchini, allora in Mondadori. Io ero seduta sul letto, con il telefono incollato alle mani ed ero incredula. Mi chiedevo: “Ma davvero sta succedendo proprio a me?”.

Essere un’autrice Mondadori, in termini di promozione del libro, in cosa si traduce? Hai fatto un tour promozionale in giro per l’Italia? Farsi conoscere, immaginiamo, è più semplice rispetto a chi fa tutto da solo.

Diverse librerie mi hanno chiamata e mi stanno chiamando per presentare il romanzo. Non lo definirei tour promozionale per il fatto che non è stabilito a priori dall’editore, ma le richieste vengono appunto, man mano, dalle librerie, dalle associazioni, dalle persone. Alcuni contatti li ho trovati e coltivati personalmente. Certo è innegabile che la visibilità che una grande casa editrice può dare aiuti molto.

Hai mai pensato all’auto-pubblicazione? Se “La parabola delle stelle cadenti” non avesse seguito questa strada, lo avresti pubblicato comunque, magari da sola e in digitale?

Non avrei voluto che “La parabola delle stelle cadenti” rimanesse in un cassetto. Ci ho messo troppo impegno e troppa me stessa. Se non avessi trovato un editore, avrei provato a spedirlo a dei concorsi. Successivamente, un’idea sarebbe stata sicuramente quella dell’auto-pubblicazione su una piattaforma web.

Definirti esordiente di spicco non mi sembra fuori luogo. Quali consigli ti sentiresti di dare a tutti quegli autori che sognano di vedere pubblicati i loro romanzi? C’è qualcosa che possono fare, per vedere aumentate le loro possibilità di essere notati?

Io posso parlare solo per la mia esperienza, e posso dire che l’aver frequentato la scuola Palomar mi ha aperto gli occhi su alcuni errori nell’impostazione della storia e nei dialoghi che avevo commesso nelle mie opere precedenti. Poi ho studiato per conto mio dei manuali di scrittura creativa, per cercare di capire sempre meglio. Credo quindi che frequentare laboratori, far leggere i propri lavori a editor o scout possa essere un passo importante. Confrontarsi con esperti del settore, informarsi e aggiornarsi affina la capacità di lettura critica e aiuta a vedere come altri autori abbiano risolto magari lo stesso impasse in cui ci troviamo noi. E alla fine, però, fondamentale è fare un po’ quello che ci pare, in barba a tutto. Anche rischiando.

Archiviata questa prima esperienza, stai già lavorando a qualcosa di nuovo? Hai un’altra bella storia pronta a saltare fuori dal cassetto?

Credo di essere inevitabilmente attratta dalle storie familiari. Ognuno di noi, nel bene e nel male, è infatti il risultato, per somiglianza o contrasto, di chi ci ha cresciuto.

Grazie a Chiara Passilongo per essersi raccontata da noi.

Grazie a te, Roberta, e alla redazione di Parole a Colori per l’ospitalità.