È una delle scrittrici italiane del momento, autrice di una serie di grande successo che mescola giallo e commedia, da cui è stata tratta anche una serie tv con Alessandra Mastronardi e Lino Guanciale.
Alessia Gazzola è una ragazza disponibile e molto dolce, che trasmette la sua passione per la scrittura e per la sua protagonista, Alice Allevi. Laureatasi in medicina all’Università di Messina, si è dedicata in seguito alla medicina legale ed è diventata specialista nel 2011.
Il 2011 è stato anche l’anno dell’esordio nel mondo della narrativa con il primo romanzo della serie, “L’allieva“, edito da Longanesi, che ha riscosso subito un grandissimo successo, diventando un vero caso. A questo sono seguiti sei libri con la stessa protagonista – “Un segreto non è per sempre“, “Sindrome da cuore in sospeso“, “Le ossa della principessa“, “Una lunga estate crudele“, “Un po’ di follia in primavera“, “Arabesque” – uno dei quali costituisce una sorta di prequel, e la commedia romantica “Non è la fine del mondo” (Feltrinelli, 2016).
Abbiamo incontrato Alessia Gazzola a BookCity Milano, in occasione dell’uscita per Longanesi del suo nuovo libro, “Arabesque” (qui la recensione).
I romanzi dell’Allieva sono diversi dai noir o gialli classici, perché mescolano alle indagini e ai casi un inedito elemento romance, frivolo in senso positivo. Avevi in mente fin da subito di creare una serie così?
Ho scritto il primo libro della serie a 26 anni, e in quel periodo facevo scorpacciate di un certo tipo di romanzi, romanzi leggeri, romanzi frivoli, come quelli di Sophie Kinsella. Quando mi sono trovata io a scrivere il mio gusto di lettrice ha avuto un peso rilevante. Non è stato tanto un progetto editoriale, quanto il mio stato d’animo del momento: ero una specializzanda che si sentiva l’ultima ruota del carro, ho scritto di una specializzanda che è l’ultima ruota del carro. Nei romanzi è Alice, più che la storia, a essere rosa. Lei cerca una sua identità, una sua sicurezza, e questo si riflette nei suoi ragionamenti, nelle sue storie. Nel nuovo romanzo, “Arabesque”, Alice è diversa, ha trovato una sorta di equilibrio.
In “Arabesque”, in effetti, la protagonista è molto più decisa e disinvolta rispetto al passato. È maturata davvero?
Secondo me era giusto che lo facesse. Gli anni passano, e il cambiamento significa che da quello che ha vissuto ha tratto degli insegnamenti. Detto altrimenti, non poteva, a trent’anni, comportarsi come quando ne aveva venti. Spero che Alice e la sua maturazione possano essere fonte d’ispirazione per i lettori. A me è capitato, in certi momenti della mia vita, di trovare spunti nei libri.
Il finale lascia aperte una serie di strade e di domande, anche divertenti – ad esempio, Alice verrà davvero mandata nel Nord Europa dalla temibile Wally? Hai già un’idea di dove ti porterà la tua storia?
Penso che continuerò a scrivere di Alice fino a quando per me sarà divertente. Alla fine ho anche tante altre idee, quindi questa serie non deve diventare una catena o un peso.
Che genere di feedback hai ricevuto dai tuoi lettori? Pensi di essere riuscita ad arrivare al cuore delle persone?
I feedback, per fortuna, sono sempre stati positivi, poi ovviamente è nell’ordine delle cose non piacere a tutti, lo si accetta e va benissimo! L’unica critica che io non rispetto è quella scritta a tavolino, per battere cassa. Tutto il resto può non piacermi ma va bene così.
Gli scrittori si sentono spesso vicini ai loro personaggi, li considerano parte di loro, quasi persone di famiglia. Qual è il tuo rapporto con Alice Allevi?
Il mio rapporto con Alice è un rapporto di familiarità. Talvolta la considero come una sorella più piccola, un po’ immatura per certi aspetti. Non è un personaggio in cui mi identifico in modo particolare, anche se tutti i caratteri della serie hanno almeno un paio dei miei pensieri. Capita che dopo aver scritto una scena io non condivida con Alice un’idea, un’azione, né come autrice né come lettrice. Ormai credo che abbia assunto una sua personalità, quasi indipendente da me. Perché io certe cose non le so fino a quando non mi metto davanti al computer a scrivere.
Hai sempre saputo di voler pubblicare questa serie di romanzi? Mai avuto dubbi, paure, ripensamenti?
Quando ho finito di scrivere il primo romanzo mi sono resa conto che la storia aveva del potenziale, e mi sono detta: “Perché non provare a pubblicarla?”. Ma era più un sogno che un’idea concreta. Poi le cose si sono messe in moto e ho capito che il giudizio delle persone che mi conoscono mi preoccupava, tanto che ho pensato a più riprese di usare uno pseudonimo. Alla fine ho deciso di non farlo – in realtà è stata la casa editrice a spingere in questo senso, non la riteneva una buona strategia. Prima della pubblicazione ho vissuto delle vere e proprie montagne russe emotive – a volte mi chiedevo: “Ma chi me l’ha fatto fare?” – ma poi i libri hanno iniziato a uscire e ho capito di aver fatto la scelta giusta a rischiare.
“L’allieva” è diventata anche una serie tv, con Alessandra Mastronardi nel ruolo della protagonista. C’è qualcosa che non è stato incluso nello script di cui hai sentito la mancanza?
La serie tv è stata una benedizione, e certo mi ha portato nuovi lettori. È normale che un adattamento differisca dall’originale scritto, che ci siano semplificazioni. Penso però che la serie riproponga l’atmosfera dei miei libri, e questo è l’importante.
I libri, i film e le serie tv ci rimandano molto spesso investigatori, medici legali e poliziotti di sesso maschile, tormentati ma forti. Come si inserisce Alice Allevi in questo quadro?
Alice è una persona insicura, ansiosa, che ha paura di sbagliare. È una ragazza comune, non una super-eroina. La mia è stata una scelta precisa. Per i miei libri volevo una protagonista in cui tutti potessero rivedersi, che avesse i pregi e soprattutto i limiti delle persone normali.
Paziente e medico, lettore e scrittore: pensi che ci siano delle similitudini tra questi rapporti?
Domanda interessante, non ci avevo mai pensato. Be’, se si dice che a volte i libri curano l’anima, allora in questo senso sì. In entrambi i casi si tratta di un rapporto in cui chi sta dall’altra parte – il paziente, il lettore – ha un’aspettativa, che il medico e lo scrittore devono provare a soddisfare.
Alice compare brevemente in uno dei romanzi di Gabriella Genisi (“Mare nero”, ndr), insieme niente meno che al commissario Montalbano. Che effetto ti ha fatto vedere usare uno dei tuoi personaggi da un altro autore? Lusingata?
Assolutamente, è stato un onore. Vedere Alice calcare la scena insieme a Montalbano… è stato bello. Non era una novità assoluta, per me, vedere i miei personaggi “maneggiati” da altri. Alla fine quando i libri vengono sceneggiati per la tv il procedimento è simile: qualcun altro tiene le redini della narrazione, scrive battute e scene diverse da quelle che avrei scritto io. Solitamente è divertente vedere come si evolvono le cose. Poi, quando qualcosa non mi sembra coerente con i personaggi, non ho timore a farlo presente.
Il genere che, da lettrice, più ti appassiona al momento?
Non ho abbandonato il chick lit – ad esempio Sophie Kinsella, a mio parere la migliore esponente del genere attualmente, continuo a seguirla. In questo momento sto attraversando la fase “vecchia Inghilterra”, leggo soprattutto libri editi da Astoria. Questa è la mia confort zone. Poi ovviamente, per documentarmi e migliorare, leggo anche tanti gialli.