Dulcis in fundo, il mio ciclo di interviste dal London Film Festival 2019 si conclude con l’incontro con il fumettista, illustratore e regista italiano Lorenzo Mattotti.
La carriera di Mattotti attraversa trent’anni, punteggiata dai lavori per le copertine del “New Yorker”, dai disegni nel film animato su Pinocchio diretto da Enzo D’Alò, dai poster per la 75° edizione della Mostra del cinema di Venezia e per la 53° edizione del Festival di Cannes.
Dopo un processo durato oltre sei anni, ecco la realizzazione di un lungometraggio animato tratto dall’opera di Dino Buzzati, “La famosa invasione degli orsi in Sicilia” (qui la recensione). Una storia ancora oggi molto attuale che trova nuova vita e nuova luce attraverso la direzione attenta di Mattotti. Un cartone che scalda il cuore e che io, con grande entusiasmo, cerco di approfondire insieme al suo creatore.
Buongiorno, Lorenzo e benvenuto su Parole a Colori.
Buongiorno e grazie.
Vorrei cominciare parlando del tuo stile artistico, che ritroviamo anche nei disegni del film. Quali sono le correnti e i movimenti da cui ti senti più influenzato?
Be’, nel mio stile c’è molto del Novecento, tutta quella corrente subito dopo la metafisica che è un po’ il ritorno ai classici, questo ritorno ad una pittura con molti riferimenti agli artisti del passato, come Piero della Francesca, cercando di rinnovarli in chiave moderna. Questa è una corrente che mi piace tantissimo, poi chiaramente ci sono anche altre influenze, come i realisti americani, i romantici tedeschi, potrei farti un elenco molto lungo!
Avendo uno stile così definito, come ti sei trovato a disegnare un cartone che parte dalla storia di Buzzati, già arricchita delle illustrazioni dell’autore?
Io Buzzati lo conoscevo molto bene, il suo stile mi aveva già influenzato tanto in altri miei lavori. Non parlo del Buzzati pop, ma di quello un po’ più visionario e strano, che si rifaceva molto ai surrealisti come De Chirico. Per cui, io Buzzati lo conoscevo già, certe volte l’ho anche citato nei miei fumetti, quindi è stato molto naturale prendere i suoi disegni, anzi, sognavo da tempo di trasformarli alla mia maniera. Per cui per m, il lavoro di adattamento, è stato il momento più bello.
Leggevo che per arrivare alla realizzazione di questo film ti ci sono voluti molti anni. C’è un motivo preciso?
Ci sono voluti sei anni per realizzarlo. All’inizio, quando avevamo chiesto i diritti, ci sono stati rifiutati, per cui sono poi passati vari anni finché non abbiamo deciso di riprendere in mano il progetto, perché lo trovavamo così bello, e ci abbiamo riprovato e ce l’abbiamo fatta.
Parte della bellezza della storia di Buzzati deriva proprio da uno stile narrativo e da un uso della lingua molto particolari. Lavorando con due sceneggiatori francesi, Thomas Bidegain e Jean-Luc Fromental, come sei riuscito a gestire l’ostacolo linguistico?
È stato un bel problema. Thomas aveva letto, in francese, il libro da piccolo e si ricordava bene le atmosfere, mentre Jean-Luc è un grande linguista, nel senso che è sempre stato interessato alla parola e agli aspetti letterari. È stato un bel mix, però è chiaro che io avevo sempre questa angoscia che loro usassero parole buzzantiane, soprattutto nei dialoghi, ero molto attento che lo stile dell’autore fosse rispettato. Poi è chiaro che il linguaggio è stato semplificato, perché correvamo il rischio che risultasse troppo aristocratico per i bambini, cercando di trovare un giusto equilibrio tra divertimento letterario e dialogo diretto. Abbiamo anche tenuto le poesie, le rime, che naturalmente in francese sono state un po’ cambiate, ma in italiano io ho cercato di tenere il più possibile lo stile buzzantiano.
Quindi avete scritto due sceneggiature?
No, ma sono stato continuamente attento alla traduzione cercando di fare, sia in francese che in italiano, un lavoro corretto. Una volta che si è arrivati alla stesura di una sceneggiatura più avanzata, l’ho voluta leggere tradotta per vedere cosa mi desse in italiano e poi, quando abbiamo fatto il doppiaggio italiano, ho parlato molto col traduttore e abbiamo trovato insieme delle parole più buzzantiane di altre.
Nel cartone appaiono personaggi che nel libro non ci sono. Come sono nati? E perché li avete inseriti?
Sai, quando si crea qualcosa, ci sono alcuni elementi che vengono naturali. Noi avevamo chiara l’idea di volere una voce narrante, ma una voce fuoricampo ci sembrava fredda e non pienamente capace di mantenere un forte legame con il pubblico. Inizialmente abbiamo pensato subito a un cantastorie, creando Gedeone che gira per le montagne e che racconta la storia. Da lì sono venuti fuori il freddo, la grotta, e anche il vecchio orso, che è stata un’idea che ci ha aiutato a risolvere quel passaggio narrativo dal racconto dell’epopea dell’invasione degli orsi a quello della loro corruzione. Questa immagine del vecchio orso che si mette a parlare, crea da un lato stupore mentre dall’altro è una piroetta di cui avevamo bisogno per passare da un racconto all’altro. E poi, da qui è venuta fuori Almerina, una ragazzina molto vivace e sveglia, di cui non si sa molto, ma che ha con Gedeone un rapporto molto cameratesco. Un personaggio femminile di cui sentivamo anche un po’ la mancanza nella storia.
Tra i personaggi che tu hai creato e quelli di Buzzati, ce n’è uno che preferisci o che ti è piaciuto di più animare?
In realtà un po’ tutti mi piacevano ma tra i personaggi di Buzzati, il mio preferito è De Ambrosis. Ho avuto subito un’idea molto precisa di questo personaggio, di come poteva essere e di come poteva apparire e devo dire che l’animatore che l’ha realizzato gli ha dato ancora più energia. De Ambrosis mi piaceva perché era il personaggio più simile a una marionetta. Poi, sono anche legato molto a Gedeone ed Almerina, perché Gedeone è come se fosse un vecchio amico che è sempre esistito nel mio mondo e che finalmente lo vedo muoversi, parlare e discutere, mentre Almerina mi trasmette molta dolcezza.
Sempre rimanendo sul tema personaggi, una cosa che mi ha colpito molto è che tutti, dai più importanti a quelli che appaiono solo brevemente, sono ben caratterizzati. In che modo la scelta dei doppiatori ha contribuito a questo aspetto?
Avevo idee molto precise sulle tonalità di voce che volevo. Nell’animazione si scelgono prima le voci e poi si fanno le animazioni, per cui abbiamo trovato le voci divertendoci, senza andare a cercare le celebrità, ma cercando voci che aiutassero la caratterizzazione dei personaggi, perché una voce di un certo tipo ti ispira disegni di un certo tipo. Abbiamo incontrato molti attori, abbiamo fatto molte prove. Poi finalmente ho sentito la voce di Linda Caridi per Almerina, mentre per Gedeone sapevo già che doveva farlo Antonio Albanese perché avevo bisogno della sua energia, cercando una voce simile in francese che ho poi trovato in Thomas Bidegain.
Un’ultima domanda. Mi è piaciuta molto questa idea di lasciare ai bambini il segreto e anche lo spazio di riflettere sulla storia. Come ti sono sembrati i bambini durante il Q&A in sala a Londra? E durante altre proiezioni?
Oltre a Londra, ho avuto modo di interfacciarmi con un pubblico di bambini anche a Locarno, a Grenouble e a Bordeau, e devo dire che li ho sempre trovati tutti entusiasti e attentissimi. Di solito, in bambini molto piccoli, è difficile vedere tanta attenzione però, probabilmente, le immagini e il ritmo li hanno davvero ammaliati, mantenendo la loro attenzione anche nella seconda parte che forse è più complicata per loro. Alla fine del film hanno sempre fatto tante domande e mi ha fatto molto piacere sentirli chiedere una continuazione della storia degli orsi o un seguito in cui ritornano gli orsi. Penso che i bambini siano rimasti così affascinati perché questo cartone ha un altro ritmo di narrazione rispetto ai cartoni soliti, gli fa riflettere anziché bombardarli di immagini, con un ritmo violento. Una madre mi ha persino raccontato che lei e il figlio sono usciti dalla sala pensando ancora alla storia, a differenza di quando guardano i film americani che tendono a lasciarli completamente rimbambiti. Questa la trovo una grande osservazione e un grande complimento al film.