Incontro ravvicinato con Viola Davis: la carriera, il cinema e i diritti civili

L'attrice americana ha ricevuto il premio alla carriera, e ha parlato delle sue convinzioni su arte e diritti

La Festa del cinema di Roma chiude i suoi incontri ravvicinati celebrando Viola Davis e la sua straordinaria carriera. L’attrice statunitense è una delle poche donne ad aver vinto un Oscar, due Tony Awards e un Emmy, dimostrando la sua assoluta versatilità.

Fasciata da uno splendido abito bianco, la Davis, nota al grande pubblico per il ruolo di Annalise Keating nello show televisivo “How to get away with murder”, non si è certo risparmiata, parlando a ruota libera del mestiere dell’attrice, della lotta che porta avanti per i diritti civili e dell’idea che ha dell’arte cinematografica.

 

Sei un’attrice poliedrica, che si divide con successo tra cinema, televisione e teatro. Ne ami uno in modo particolare?

Mi diverto di più sul palcoscenico. Quando le persone vanno a teatro vogliono solo un’esperienza umana, non pensano ai soldi e a tutto ciò che ruota attorno ma solo ed esclusivamente a ciò che stanno andando a guardare. E questa è la mia vita.

 

Viene proiettata una clip di “Il dubbio”, il film tratto da una pièce teatrale nel quale recita a fianco di Maryl Streep.

Il film ha un impianto molto teatrale. Ci sono passaggi in cui hai improvvisato, oppure suggerimenti che hai dato al regista [John Patrick Shanley, ndr]?

No, non c’e stata improvvisazione, abbiamo fatto tre settimane di prove a New York. Per ottenere il ruolo ho sostenuto una serie di provini, durante i quali eravamo tutte vestite come Mrs. Miller e io sentivo dopo il provino l’applauso per tutte. Quando sono stata scelta quasi non ci credevo, di aver ottenuto un ruolo in un film insieme a Maryl Streep. Nella nostra professione solitamente gli attori arrivano per le riprese, non c’è la possibilità di partecipare al processo di ideazione del film. Qui è stato diverso.

 

In questo film, così come in “Barriere”, un ruolo importante per te lo ha svolto August Wilson, ritenuto il più importante drammaturgo afroamericano di sempre. Possiamo definirlo il tuo mentore?

Sicuramente sì. Difficilmente il pubblico ha la percezione dello studio che sta dietro alla creazione di un personaggio. I monologhi di August Wilson riescono a dare voce alle persone di colore per come sono, senza stereotipi. Ed è importante. È quello che, come artisti, dobbiamo fare anche noi: avere il coraggio di dire la verità.

 

Quando avevi due anni possiamo dire che sei stata arrestata… Tua mamma è stata arrestata per une protesta per i diritti civili, e tu con lei. Cosa hai imparato da quell’esperienza?

Mia mamma diceva che ci avevano portate via e messe in una cella. A quell’età si impara quanto sia importanti difendere i propri diritti e mi sono resa conto di una cosa: è sempre una lotta. Io sono diventata un’artista perché non potevo fare un lavoro d’ufficio, sarei arrivata sempre tardi. Ma anche facendo l’attrice combatto ogni giorno.

 

Pensando a ciò che sta accadendo all’interno dell’Academy, alla presenza sempre più massiccia di persone di colore nel mondo del cinema, pensi che stia davvero cambiando qualcosa, anche nell’attribuzione dei premi?

Secondo me è riduttivo parlare di inclusione pensando solo all’Academy. In realtà negli Stati Uniti è ancora tutto bianco, tranne l’Nba [ride]. Se si considera solo Hollywood non si capisce bene la portata del problema. Il potere non concede nulla senza una domanda, e il potere in America è bianco e soprattutto maschio. La domanda è complessa, partiamo dal principio. Se anche l’Academy fosse composta al  90% da persone di colore ma in lizza per gli Oscar ci fosse un solo film con protagonisti di colore, il problema sarebbe alla base. Quando ho iniziato come attrice io volevo tutto. E ancora oggi io voglio il mondo, come le mie colleghe, e tutto inizia con le opportunità. Bisogna cambiare il modo in cui si fa il cinema.

 

Viene proiettata una clip di “Widows – Eredità criminale”.

Ti diverti a interpretare ruoli d’azione?

Sì. Come dicevo prima, io voglio fare tutto. Ci sono tanti mondi diversi e io ho la stessa voglia nei confronti del cinema.

 

Si è parlato molto, nell’ultimo periodo, di Martin Scorsese e delle sue parole sui film Marvel, definiti dei “parchi a tema”. Tu cosa ne pensi? Ti piace quel genere di film?

A me piace sia un buon cinecomic che i film di Scorsese! È stata la mia immaginazione a definirmi, senza quella sarei ancora la piccola Viola. L’arte abita nel mondo immaginario, è un giardino in cui possiamo giocare e nessuno può decidere cosa dobbiamo includervi e cosa ne. Io credo che ci sia un posto per tutto. Ognuno ha la sua opinione, però a me un buon film Marvel piace.

 

Viene proiettata una clip di “The help”.

Come ti avvicini ai personaggi che interpreti? Pensi ci si debba identificare completamente oppure mantenere un minimo di distanza?

Un personaggio, se interessante, va affrontato come se fossimo degli investigatori: va indagato in tutte le sue sfaccettature. Poi devi studiare la tua vita, quello che hai passato, le persone intorno, e come ti senti in quel momento. Tutto questo studio confluisce poi nuovamente verso il personaggio. Se qualcuno volesse raccontare Viola Davis, farne un personaggio, di me ci sarebbe soltanto un 40%. È l’inesplorato, quello che di nostro mettiamo nel ruolo, a rendere un personaggio vivo. È questo che io dono al pubblico.