“In guerra”: un film impegnato che parla delle condizioni di lavoro

Il regista Stéphane Brizé e l'attore Vincent Lindon di nuovo insieme dopo “La legge del mercato”

Un film di Stéphane Brizé. Con Vincent Lindon, Mélanie Rover, Jacques Borderie, David Rey, Olivier Lemaire. Drammatico, 105′. Francia 2018

La fabbrica Perrin, un’azienda specializzata in apparecchiature automobilistiche dove lavorano 1100 dipendenti che fa parte di un gruppo tedesco, firma un accordo nel quale viene chiesto ai dirigenti e ai lavoratori uno sforzo salariale per salvare l’azienda. Il sacrificio prevede, in cambio, la garanzia dell’occupazione per almeno i successivi 5 anni. Due anni dopo l’azienda annuncia di voler chiudere i battenti. Ma i lavoratori si organizzano, guidati dal portavoce Laurent Amédéo, per difendere il proprio lavoro.

 

La Francia è la terra degli scioperi, e sono gli stessi francesi a dirlo, non senza una punta di orgoglio. Non sorprende quindi che uno dei film in concorso al Festival di Cannes 2018 racconti la storia delle lotte sindacali degli operai di una fabbrica che sta per chiudere “per mancanza di competitività”.

E non sorprende nemmeno che il regista e uno dei protagonisti siano, rispettivamente,  Stéphane Brizé e Vincent Lindon, duo già acclamato per il film “La legge del mercato”, valso a Lindon il Prix d’interprétation proprio qui a Cannes nel 2015.

Considerate le premesse, è chiaro che “In guerra” rientri nel cinema impegnato. Secondo Brizé il motivo per fare un film che affronta un tema che occupa spesso le prime pagine dei giornali e i notiziari è proprio il fatto che, nonostante se ne parli tanto, i meccanismi comunque non cambiano e il mercato trionfa sempre. Insomma, la denuncia ci sta sempre, non è mai ridondante.

Lindon si è dichiarato fiero di poter provare, con il suo lavoro, ad aiutare le persone che sono in condizioni di bisogno, perché la sua passione sono le persone, con le loro storie e le loro vite.

Nobilissimi intenti e grande lavoro di squadra danno a “In guerra” uno stile quasi da reportage, sebbene il regista non volesse realizzarne uno. Il difetto, a mio parere, è che lo spettatore si sente in un’eterna riunione sindacale, con litigi continui e ripetitivi – perché questo è ciò che accade nella realtà, lo so.

Ma sullo schermo il tutto risulta un po’ pesante: quando dopo mezz’ora le stesse discussioni si ripetono in un loop infinito il rischio è di far scemare la voglia dello spettatore di vedere come va a finire.

Sicuramente un film francese socialmente impegnato, presentato in un festival francese ha buone probabilità di toccare le corde giuste e di portare a casa qualche premio. Ma io, idealista mio malgrado, preferirei che riuscisse nel suo intento primario: aiutare a umanizzare i meccanismi del mondo del lavoro.

 

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Valeria Lotti
Originaria della provincia di Roma, vive tra l'Europa e la Cina, coltivando la sua passione per lo studio di società e culture. Dottoranda a Berlino, ama scrivere di cinema, viaggi e letteratura. Si ritiene democratica e aperta alla critica, purché non sia rivolta ai libri di Harry Potter.

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