Sto per farvi una confessione: per me, i libri della serie del commissario Ricciardi scritti da Maurizio De Giovanni, sono una sorta di comfort zone. Quando attraverso un periodo difficile, per ciò che riguarda la lettura, quando ogni libro che inizio mi delude e non so come andare avanti, io mi rifugio nella Napoli degli anni ‘30, e si compie la magia.
Ritrovo il piacere di leggere – di solito facendo fuori due romanzi uno dopo l’altro, perché quando inizio ho serie difficoltà a staccarmi. Soprattutto dallo stile dell’autore e dell’ambientazione, da quel fluire gentile delle parole, dalle descrizioni dettagliate dei vicoli napoletani e dell’atmosfera cittadina, stagione dopo stagione, ricorrenza dopo ricorrenza, che ti dà l’impressione di essere proprio lì.
Questo, come forse avrete già capito, prescinde quasi del tutto dalla storia in quanto tale, dal “caso” in quanto tale – ed è stato così anche con “In fondo al tuo cuore“, ambientato nel mese di luglio, a ridosso della festa della Madonna del Carmine.
La prima volta che ho dato un’occhiata alle recensioni online, che libro dopo libro sono sempre più critiche, sono rimasta basita, ma pensandoci bene… è innegabile che, dopo un’inizio scoppiettante, la serie tenda a procedere a un ritmo molto lento, praticamente inesistente.
Ricciardi è ancora convinto di non meritare l’amore e una vita normale. La sua “relazione” con Enrica è ancora meno che platonica e lei si strugge. Livia è ancora convinta di poterlo avere per sé. Niente di nuovo. Ci sono solo piccolissime variazioni sul tema. Eppure, per me, non è questo che conta.
È il fatto innegabile che dopo ogni libro provo il desiderio di leggere quello successivo, nella speranza che finalmente succeda qualcosa? Che la situazione si blocchi? Sì, ovviamente. Ma anche rapita da quel ritmo, da quel modo di raccontare unico di cui vi parlavo in apertura. E quello, anche se la storia arranca, non delude mai.