Un film di John Wells. Con Bradley Cooper, Sienna Miller, Omar Sy, Daniel Brühl, Matthew Rhys, Uma Thurman, Emma Thompson, Alicia Vikander. Commedia, 107′. 2015, USA
Adam Jones è uno chef stellato che ha distrutto la sua carriera indulgendo nelle droghe, nel sesso e nel caratteraccio. Dopo aver espiato le sue colpe strofinando un milione di ostriche sotto i rubinetti della Louisiana, torna a Londra, determinato a rimettersi al timone di una cucina d’eccellenza e a guadagnare la tanto ambita terza stella Michelin.
Saturazione. Rigetto. Nausea. Scusate, non voglio rovinarvi il pranzo, cena o colazione che sia, ma il vostro cronista non può fare a meno di provare questi stati fisici ed emotivi dopo aver visto l’ennesimo film sulla cucina e su uno chef bello e dannato.
Il sottoscritto non sa cucinare neanche un uovo sodo e detesta quasi tutti i programmi che invece vanno oggi tanto di moda. Capisco anche che il cinema debba seguire i trend e inventarsi il genere commedia alimentare-culinaria può essere stata una buona idea, qualche tempo fa, ma ormai si sta davvero raschiando il fondo del barile.
Le cucine creative degli autori devono essere davvero tristi e vuote se ormai da anni ripropongono lo stesso schema. Se prima gli eroi delle storie erano musicisti, scrittori o cantanti, oggi sono cuochi. E naturalmente i cuochi in questione devono essere attraenti e interessanti, non pancioni privi di fascino. L’Adam Jones interpretato da Bradley Cooper rientra perfettamente nel tipo.
Per chi non avesse mai visto una punta di “Hell’s kitchen”, sappiate che il lavoro in cucina può trasformarsi in un vero inferno, se lo chef ha la luna storta. E lo chef, d’altra parte, è come il comandante di una nave: il suo compito è quello di tenere unito l’equipaggio e portare a termine la traversata, ovvero soddisfare i clienti, al meglio.
Come in ogni commedia che si rispetti anche qui non mancano amori, disastri e litigi prima di arrivare al prevedibile e immancabile lieto finale.
Il film sa tanto di minestra riscaldata dal punto di vista narrativo, anche se lo sceneggiatore ha cercato di confondere le acque, aggiungendo qualche spunto introspettivo e drammatico, che però si rivela poco incisivo.
La regia è pulita, semplice come un piatto di pasta al pomodoro, ma il sugo è di quelli comprati al supermercato, manca del tutto un tocco personale.
Il cast è dignitoso, professionale, ma più adatto alla cucina di una mensa che a quella di un ristorante stellato. Al massimo Daniel Bruhl, grazie alla sua interpretazione fresca, riesce ad apparire allo spettatore come un buon sorbetto digestivo.
“Il sapore del successo” è un po’ come quei pranzi costosi che magari ti hanno sfamato senza però soddisfarti del tutto, da cui ti alzi con il desiderio di fare uno spuntino al bar vicino a casa, in economia.
Il biglietto da acquistare per “Il sapore del successo” è:
Neanche regalato. Omaggio. Di pomeriggio. Ridotto. Sempre.