“Il mio corpo”: un viaggio crudo e intenso nella Sicilia più selvaggia

Il documentario di Michele Pennetta è una visione che lascia sgomenti e amareggiati

Un film di Michele Pennetta. Documentario, 82′. Italia, Svizzera 2020

Oscar – poco più che bambino – raccoglie la ferraglia per suo padre che si occupa di rivenderla. Passa la sua vita tra le discariche abusive dove i rottami sedimentano. Agli antipodi, ma giusto accanto, c’è Stanley, ragazzo rifugiato di origine nigeriana. Fa le pulizie nella chiesa del villaggio in cambio d’ospitalità e un po’ di cibo. Tra Oscar e Staney nessuna similitudine apparente, salvo il sentimento di essere soli al mondo, di subire lo stesso rifiuto, la stessa forza soffocante di scelte fatte da altri.

 

Se alle nuove generazioni togliamo anche la speranza di un futuro migliore, la nostra società è davvero destinata a soccombere. Eppure, da adulti, cosa stiamo facendo per lasciare ai nostri “figli” un mondo migliore di quello attuale?

La miopia e l’incompetenza di ogni classe dirigente salita al potere ha accentuato sempre di più il divario tra il Nord e il Sud del nostro Paese. Il Mezzogiorno è stato saccheggiato, illuso, impoverito, lasciato allo stremo e la Sicilia è il simbolo di questo declino inesorabile. Se essere giovani è di per sé difficile, esserlo in Sicilia lo è ancora di più.

Dalla visione di “Il mio corpo”, il documentario di Michele Pennetta, presentato in anteprima mondiale a Visions du Réel e fuori concorso ad Alice nella città, dove si è aggiudicato il Premio Raffaella Fioretta, non si può che uscire amareggiati.

Pennetta conduce infatti lo spettatore nella parte più selvaggia, chiusa e spigolosa della Sicilia, in luoghi dove il tempo sembra essersi fermato e la bellezza ambientale stride con la chiusura mentale e la cupezza dell’animo dei due protagonisti, Stanley e Oscar, due ragazzi che, nel moderno 2020, devono ancora lottare per sopravvivere.

“Il mio corpo” mostra la lenta agonia di una generazione che rischia di morire prima ancora di essere diventata adulta, abbandonata dallo Stato e osteggiata da dannose sacche di patriarcato.

Un viaggio intenso, crudo, realistico, che lascia sgomenti. E che ci ricorda come, ben prima della piaga rappresentata dal Covid19, la situazione nel nostro Paese fosse tutt’altro che rose e fiori.

 

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Vittorio De Agrò
È nato in Sicilia, ma vive a Roma dal 1989. È un proprietario terriero e d’immobili. Dopo aver ottenuto la maturità classica nel 1995, ha gestito i beni e l’azienda agrumicola di famiglia fino al dicembre 2012. Nel Gennaio 2013 ha aperto il suo blog, che è stato letto da 15.000 persone e visitato da 92 paesi nei 5 continenti. “Essere Melvin” è il suo primo romanzo.

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