“Il lago delle oche selvatiche”: tra mistero e azione, un thriller asiatico

Diao Yinan torna con il secondo lungometraggio dopo "Fuochi d'artificio in pieno giorno"

Un film di Yinan Diao. Con Lun-Mei Kwei, Hugh Hu, Liao Fan, Regina Wan, Jue Huang. Titolo originale Nan Fang Che Zhan De Ju Hui. Drammatico, 113′. Cina 2019

Zhou esce dal carcere e finisce immediatamente in una violenta contesa tra gang, che si conclude con l’uccisione di un poliziotto. Braccato dalla legge e dai rivali, è costretto a fidarsi di una prostituta, Liu, forse innamorata di lui.

 

Da una quindicina di anni a questa parte, il cinema cinese è sempre più presente nei festival internazionali. In questa edizione di Cannes tocca a Diao Yinan portare la sua nuova creazione, “Il lago delle oche selvatiche”.

Si tratta ancora una volta di un thriller, come il vincitore dell’Orso d’oro a Berlino nel 2014 “Fuochi d’artificio in pieno giorno” (Black Coal, Thin Ice). Diao resta affezionato non solo allo stesso genere ma anche alla stessa attrice, la taiwanese Gwei Lun Mei, facendola affiancare stavolta da Hu Ge.

Lo ammetto, quando mi sono seduta in sala ero stanca. Non era tarda sera ma solo pomeriggio, però la stanchezza del festival non ha orario. Speravo, però, che come era successo qualche giorno prima, un film d’azione mi avrebbe coinvolta tanto da farmi dimenticare la fatica.

Purtroppo, nonostante l’alone di mistero e le fughe rocambolesche, la storia non è riuscita a coinvolgermi. Mi sono sentita distaccata dai personaggi e disinteressata alla loro sorte, anche a quella del protagonista Zhou (Hu Ge), braccato sia dalla polizia che dai malviventi rivali. Riuscirà a cavarsela con l’aiuto della misteriosa donna che incontra sotto la pioggia? Forse sì, forse no: francamente me ne infischio. Ed è questo il problema.

Mi sono ricordata, allora, che anche quando vidi il precedente film di Diao provai un simile disinteresse, quindi è possibile che il problema non sia di questo film ma del mio rapporto in generale con lo stile di Diao. Visivamente è suggestivo, con la contrapposizione tra l’oscurità della notte e le luci al neon che ogni tanto rivelano elementi surreali come una tigre nascosta nella foresta.

Ma per me, in “Il lago delle oche selvatiche”, manca quel crescendo emotivo che nei grandi noir serve a movimentare l’azione e coinvolgere lo spettatore. Certo, alcuni colleghi dicono di averlo sentito, il crescendo. E io non mi sento nemmeno di dar loro completamente torto, perché in fin dei conti giudicare un’emozione è impossibile.