Godibile. SEMPLICE. perfezionabile
Decidere di esordire in un genere complesso e gettonato come il giallo non è una scelta scontata. Il pubblico, da un romanzo di questo tipo, si aspetta molto e quindi il rischio di fare un buco nell’acqua è alto.
Da amante del genere, Cristina Katia Panepinto ha scelto di correre il rischio… e personalmente credo abbia fatto bene.
“Il fioraio di Monteriggioni” non è un romanzo perfetto – personalmente ci sono un paio di punti che mi hanno dato da pensare –, ma è un romanzo godibile, coinvolgente.
Quando si tratta di gialli, per discriminare tra un buon libro e un cattivo libro, mi faccio tre domande. Ho bisogno di scoprire chi è il colpevole? La vicenda mi ha incuriosita? L’intreccio è abbastanza credibile? Se le risposte sono tre sì, l’autore ha fatto centro.
La storia del Fioraio non è particolarmente nuova – c’è una giovane di buona famiglia assassinata, un crimine che sembra affondare le radici nel passato, le vicende dei familiari della ragazza e di altri personaggi a loro collegati che si intrecciano – ma quello che la rende particolare è, da un lato, il punto di vista della psicologa Violetta Salmoiraghi, dall’altra il fatto di inserire, pagina dopo pagina, sempre nuovi elementi.
Il libro non presenta subito il quadro con chiarezza, e devo dire che, all’inizio, la cosa mi ha quasi infastidita. Della protagonista Violetta, ad esempio, non si sa quasi niente. Ci si trova nel bel mezzo dei suoi pensieri e della sua vita – con il lavoro, la separazione dal marito pm Amedeo e i problemi con la sorella (che poi si scopre essere gemella) Eva – senza però avere un’idea chiara di chi sia questa donna.
La Panepinto ha voluto senza dubbio portare il lettore nel bel mezzo dell’azione, in media res, ma resto convinta che un inquadramento maggiore, anche breve, dei personaggi avrebbe potuto giovare alla comprensione e alla buona riuscita della storia.
A questa mancanza di particolari e di background sopperisce l’intreccio, il giallo tra presente e passato che ruota intorno alla famiglia Aldori.
Il fatto di svelare soltanto via via i pezzi del puzzle aiuta a mantenere alta l’attenzione del lettore, e anche se talvolta si ha la sensazione che sia tutto un po’ troppo intricato – tra uomini che di nome fanno Leonardo e Lorenzo, primi e secondo mariti, zii, fratelli e amanti confesso di aver fatto un po’ di confusione! – chi siamo noi per mettere un freno alla fantasia di un autore?
Ho apprezzato molto l’intreccio tra passato e presente, quel tirare fuori degli scheletri nell’armadio che sono tutt’altro che di piccole dimensioni e dare all’intera vicenda uno spessore molto maggiore del “semplice” omicidio di una 18enne.
Ammetto che forse le modalità della morte di Fiona Aldori sono quelle che mi hanno lasciata più basita, una volta scoperte – dopo tutto questo labirinto di false testimonianze, segreti nascosti, personaggi ci si poteva aspettare qualcosa di meno casuale… ma non dico di più per non rovinarvi la lettura.
Dopo i lati positivi, passiamo alle dolenti note. A mio avviso la scrittrice cade spesso in un’eccessiva faciloneria e semplificazione. Per dirla altrimenti, parla di tematiche delicate e importanti dandole quasi per scontato, come si trattasse di cose normali.
Due consanguinei hanno una relazione, sapendo il legame che li unisce. Quando viene fuori nessuno si scandalizza più di tanto. Un uomo adulto trova un cadavere – il cadavere di una persona che conosce bene, tra l’altro – e invece di chiamare la polizia decide di spostarlo e provare a creare un’ambientazione diversa per il delitto. Questo potrebbe anche starci. Ma perché lo fa?
Se avessi chiamato la polizia avrei dovuto spiegare la mia presenza nell’appartamento e non ne avevo alcuna voglia.
Anche il rapporto tra la protagonista Violetta e il marito (sono separati? divorziati? ci stanno ancora pensando?) trovo che poteva essere gestito in maniera migliore. All’inizio della storia sembra che tra loro le cose siano chiarite e risolte, ma mano a mano che si prosegue Violetta mostra un attaccamento che mal si concilia con questa immagine.
Tirando le somme, la storia è scorrevole e si lascia leggere con piacere, l’intreccio è abbastanza credibile. Per quello che riguarda lo stile e la caratterizzazione dei personaggi, mi auguro che Cristina Katia Panepinto abbia davanti a sé una lunga e fortunata carriera per poterci lavorare, limando le imperfezioni e crescendo.