Un film di Letizia Lamartire. Con Andrea Arcangeli, Valentina Bellè, Andrea Pennacchi, Antonio Zavatteri, Riccardo Goretti. Docufiction, 91′. Italia 2021
Vita di Roberto Baggio, dagli inizi nelle giovanili del Vicenza fino al terzo millennio e alla mancata convocazione del 2002, con i mondiali negli Usa del 1994 come fulcro e momento critico.
Tratto dalla biografia di Raffaele Nappi e diretto da Letizia Lamartire, “Il Divin Codino”, disponibile su Netflix, è un biopic fortemente spirituale che ripercorre la vita di Roberto Baggio, dall’infanzia fino all’addio al mondo del calcio.
Una carriera lunga 22 anni, la sua, fatta di successi e infortuni, e contraddistinta da frequenti screzi con gli allenatori e con la stampa, che ben di rado ha dimostrato di capire la personalità e le scelte di un personaggio fuori dagli schemi, che al rispetto delle regole ha – quasi – sempre anteposto l’estro.
Raccontare un personaggio come Baggio, non solo celebre ma esemplare, in un film significa compiere gioco forza delle scelte. Quella della Lamartire e degli sceneggiatori di “Il Divin Codino” è per certi versi sorprendente: non concentrarsi sugli “anni d’oro” alla Juventus, sui gol segnati, sul Pallone d’oro, ma piuttosto sul mondiale del 1994, sul rigore sbagliato, sul sogno infranto di diventare campione del mondo, sogno che Baggio coltivava fin da quando era bambino.
Intorno a questo punto ruota il film, un dramma introspettivo piuttosto che il classico biopic sportivo. E il racconto delle innumerevoli volte che Baggio è caduto e ha saputo rialzarsi non può prescindere da aspetti più personali della sua storia – il rapporto col padre, assente e burbero, di cui Roberto cercherà sempre di guadagnare l’approvazione e l’apprezzamento; la conversione al Buddismo.
Cosa rende Roberto Baggio Roberto Baggio? Un eroe dello sport la cui fama resiste negli anni senza scolorire, al di là di un rigore sbagliato e di un sogno infranto? Il film di Letizia Lamartire prova a darci una risposta, e al di là del risultato finale, ci rimanda l’immagine di un supereroe schivo e introverso, campione di una generazione che con lui ha sofferto e gioito. Grandissimo nel momento della caduta e del ritiro, non solo della gloria. Ed è questo che ce lo rende tanto caro, probabilmente.