“Il cacciatore”: Francesco Montanari da criminale a paladino dello Stato

Liberamente ispirata alla storia del magistrato Alfonso Sabella, la serie tv dal 14 marzo su Rai 2

Una serie tv di Stefano Lodovichi, Davide Marengo. Con Francesco Montanari, David Coco, Paolo Briguglia, Francesco Foti, Marco Rossetti, Roberta Caronia, Miriam Dalmazio, Roberto Citran, Edoardo Pesce

Liberamente ispirata al libro “Cacciatore di mafiosi” di Alfonso Sabella

 

Ho voluto scrivere questo libro sulle mie esperienze professionali per due motivi. Il primo era far sapere agli italiani come lo Stato seppe reagire alle stragi di Capaci e Via D’Amelio e successivamente alla stagione del terrore mafioso del ‘93. In pochi sanno o ricordano che lo Stato riuscì a smantellare parte della Cupola, arrestando uno dopo l’altro mafiosi del calibro di Bagarella e Brusca. Non ci siamo arresi, non ci siamo fermati solo al processo contro Giulio Andreotti. Il secondo era scalfire l’aura che pellicole celebri come la saga del “Padrino” hanno costruito intorno ai mafiosi. Non è vero che non erano capaci di nefandezze come sciogliere un bambino nell’acido. I mafiosi sono belve senza scrupoli e io ho voluto raccontarne l’orrore e le brutalità compiute da questi uomini. Speravo che il mio romanzo potesse diventare la base per realizzare un progetto televisivo o cinematografico, ma devo ammettere che mai avrei pensato che questa serie potesse raggiungere simili livelli.

 

Parla così Alfonso Sabella, ex magistrato del pool antimafia di Palermo e autore del libro “Il cacciatore dei mafiosi”, alla presentazione della serie tv “Il cacciatore” in onda per sei serate su Rai 2, a partire dal 14 marzo.

Definirla semplicemente una serie tv sulla mafia sarebbe riduttivo (vogliamo almeno ricordare che ci sono voluti 10 anni per arrivare alla messa in onda). La sfida di Rai e Cross Productions è proporre una versione italiana di “Narcos”.

I teledipendenti potrebbero essere già saltati, inorriditi, sulla sedia davanti a questa dichiarazione avventata, ma se avete imparato a fidarvi almeno un po’ del vostro cronista, posso assicurarvi che “Il cacciatore” ha tutte le carte in regola per diventare l’evento dell’anno sulle reti generaliste – dopo “Il commissario Montalbano”.

Uno dei punti di forza della serie è sicuramente la cornice temporale in cui si inserisce la storia. Siamo nel 1993, anno delicato e drammatico per il nostro Paese. La Prima repubblica sta crollando sotto i colpi di Tangentopoli; i leader politici come Craxi e Andreotti, un tempo temuti e rispettati, sono considerati ladri o peggio.

L’Italia si trova di fronte a un bivio, scossa dagli attentati mafiosi di Roma e Firenze, e provata dalla paura collettiva che la situazione possa farsi ancora più incontrollata.

Cinema e TV, fino a oggi, si erano fermati alla strage di via D’Amelio, in cui persero la vita il giudice Borsellino e la sua scorta. Un vuoto narrativo e culturale che doveva essere colmato. “Il cacciatore” lo fa in modo chiaro, evidenziando subito chi siano i buoni e chi i cattivi, e togliendo subito dalla mente di chi guarda la possibilità di avere davanti una nuova “Gomorra”.

Il protagonista Saverio Barone (Montanari) è un personaggio fittizio, da non confondere con Alfonso Sabella (lo hanno ribadito sia lui sia gli sceneggiatori in conferenza stampa). Uomo ambizioso ma integro, imprudente ma lavoratore indefesso, svolge il ruolo di PM presso la Procura di Termini Imerese.

La sua indole irrequieta e la spregiudicatezza professionale fanno sì che il procuratore capo del pool antimafia Andrea Elia (Citran) ne richiedano la presenza nella sua squadra. Barone accetta l’incarico, spinto dal desiderio di dimostrare i propri talenti ma anche di rendersi utile.

Un doveroso chiarimento: i nomi dei “buoni” della serie, uomini e donne che servono lo Stato, sono stati modificati, essendo molti di loro ancora in attività. Quelli dei “cattivi”, invece, dei mafiosi, sono reali. Sulla scena si alternano i primi e i secondi, in modo netto ma senza rendere i personaggi figure stereotipate.

Oltre al protagonista, ampio spazio viene dato agli altri componenti del pool, con le loro debolezze, i loro limiti, le personalità. È proprio attraverso Barone, ultimo arrivato in squadra, che lo spettatore può farsi largo in un mondo molto spesso precluso ai semplici cittadini.

Anche la zona oscura della Mafia viene resa con precisione e profondità umana, senza risparmiare scene brutali – che, quelle sì, fanno ricordare celebri precedenti seriali come “Gomorra” o “Romanzo criminale”. Spicca sugli altri Leoluca Bagarella (Coco), sanguinario reggente di Cosa nostra dopo l’arresto di Riina.

La sensazione dopo le prime due puntate è di avere davanti un prodotto di altissimo livello recitativo. È difficile stilare una classifica di valori, avendo visto all’opera delle vere eccellenze, ognuno calato nella parte e sorretto da una sceneggiatura solida e convincente. Se dovessi sbilanciarmi, farei i nomi di David Coco, Paolo Briguglia ed Edoardo Pesce come possibili favoriti del pubblico, nonostante i ruoli.

Francesco Montanari sembra ben calato nel ruolo di Barone, e dimostra di aver trovato la giusta chiave umana per interpretare un personaggio tanto complesso e ricco. L’attore romano ha raccontato in conferenza di non aver voluto incontrare Sabella prima dell’inizio delle riprese, per poter lavorare soltanto sulla sceneggiatura.

“Ci siamo incontrati un giorno sul set, e ho avuto modo di cogliere subito la sua integrità. Mi ha raccontato un episodio che mi ha colpito. Il giorno prima dell’interrogatorio in carcere di Giovanni Brusca non riuscì a dormire, dovendo decidere se stringere o meno la mano all’assassinio del giovane Di Matteo. Alla fine decise di farlo. ‘Bisogna sempre dare umanità al mafioso, ma mai dignità’, mi ha detto.”

Le dodici puntate sono dirette da Stefano Lodovichi (1-6) e Davide Marengo (7-12). Le prime due sono uno splendido esempio di regia originale, pop, capace d’imporre un stile e identità di racconto senza mai risultare autoriale ma sempre al servizio della storia.

La scenografia e i costumi sono notevoli e accurati. L’azzeccata scelta della colonna sonora anni ‘90 rende ancora più autentica l’atmosfera, anche se, alcuni pezzi di Ivana Spagna, danno un tocco di amare ironia al tutto.

“Il cacciatore” è un appuntamento da non perdere per chi ama le serie americane e per chi volesse conoscere la storia più recente – ma spesso misteriosa – del nostro Paese.