Un film di Alma Har’el. Con Shia LaBeouf, Lucas Hedges, Noah Jupe. Drammatico, 95′. USA 2019
Otis è un attore di film d’azione, dipendente dall’alcol e con comportamenti autodistruttivi. Quando un incidente lo costringe a entrare in riabilitazione, Otis inizia a pensare al suo passato e a quello che lo ha portato a diventare la persona che è.
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È molto difficile scindere la realtà dalla finzione, quando si sa che un film è ispirato in parte al vissuto di qualcuno, personaggio noto o meno. È difficile farsi un’idea del suddetto film in quanto tale, senza avere costantemente in testa l’idea che quello che si vede è successo davvero a qualcuno.
“Honey boy” di Alma Har’el, presentato in concorso al London Film Festival, sarebbe un’opera potente e dolorosa anche se fosse nata dalla fantasia degli sceneggiatori, ma conoscere la sua genesi, conoscerne la veridicità, la rende se possibile ancora più forte.
Shia LaBeouf porta sul grande schermo la storia del suo passato turbolento, fortemente segnato dal rapporto con il padre Jeffrey, tossico e alcolizzato, dalla sua presenza e assenza. “Tutto lo schifo della mia vita – ha dichiarato l’attore americano in un’intervista – viene da là, viene da lui”. E dopo aver visto il film non è difficile capire perché.
LaBeouf ha scritto la sceneggiatura di “Honey boy” – nomignolo affibbiatogli dal padre, tra parentesi – durante un periodo in riabilitazione. Ha poi condiviso il suo progetto con la regista e amica Alma Har’el, che ha fatto parlare di sé in questi anni dopo l’esordio esplposivo nel 2011 con “Bombay Beach”.
“Honey boy” è un film brutale ma che possiede una sua intrinseca bellezza. Lucas Hedges interpreta l’Otis adulto in modo suggestivo, ma sicuramente il giovane Otis, a cui presta il volto Noah Jupe, è quello che tra i due colpisce maggiormente il cuore del pubblico.
Altrettanto fa LaBeouf nel ruolo del padre di Otis, una versione cinematografica del suo stesso padre. E qui si chiude il cerchio, e si torna all’idea di partenza. Realtà e finzione, dipendenza e volontà di esorcizzare i propri demoni: in questo film tutto si intreccia.
Non tutti sono stati teneri con l’attore americano e la sua decisione di raccontare, attraverso la storia di Otis, parte della sua stessa storia, gli inizi come attore a Disney Channel, la vita col padre violento, il consumo di droga da giovanissimo. Eppure, se è vero come recitano i manuali di sceneggiatura, che per fare un buon film bisogna “scrivere di ciò che si conosce” “Honey boy” è un esperimento riuscito. Sorprendente, ricco di colpi di scena, cupo ma anche terribilmente sincero.