Un film per la tv di Lucio Pellegrini. Con Kasia Smutniak, Adriano Giannini, Filippo Nigro, Domenico Diele
Il film per la tv di Lucio Pellegrini, “Limbo”, porta sul piccolo schermo le forze militari italiane impegnate nelle missioni di pace in Afghanistan.
A differenza di altri progetti di questo filone, qui la protagonista è una donna, il sotto-ufficiale Manuela Paris, interpretata da Kasia Smutniak (che ha vinto il premio come miglior attrice al Roma Fiction Fest per questo ruolo), vittima di un attentato terroristico mentre è in missione e dopo di un disturbo post-traumatico.
“Limbo” è tratto dall’omonimo romanzo di Melania Mazzucco. Non avendo letto il libro in questione è difficile per me esprimere un giudizio critico e artistico sulla qualità della trasposizione televisiva, ma ascoltando i brusii dei giornalisti in sala stampa ho avuto la percezione di un lavoro non completamente riuscito.
L’intreccio narrativo si compone di due piani temporali differenti: nel presente lo spettatore segue la difficile convalescenza in una cittadina in provincia di Roma di Manuela, colpita da stress post-traumatico e amnesia. Manuela è una donna fatta per l’azione, invece adesso è costretta a restare a casa e a combattere con i dolorosi ricordi dell’attentato di cui è stata vittima e che lentamente riaffiorano nella sua mente.
Il secondo livello temporale, il passato, è impostato su una serie flash back della vita di Manuela prima dell’attentato, quando era impiegata come soldato di pace in Afghanistan e doveva relazionarsi con un plotone composto da soli uomini.
In questo schema complesso si inserisce anche un elemento melodrammatico, rappresentato dall’incontro tra la protagonista e Mattia (Adriano Giannini), un uomo misterioso anche lui confinato in un albergo della cittadina e restio a parlare del suo passato. Un incontro tra due anime sospese e afflitte dai demoni del passato che trovano l’una tra le braccia dell’altra consolazione e soprattutto una spinta per riprendere in mano la propria vita.
Perché Limbo non convince fino in fondo? Paradossalmente, per la ricchezza dei suoi contenuti. La scelta di ridurlo “solo” a un film televisivo ha imposto agli sceneggiatori di compiere dei tagli alla trama originale, rendendo la sceneggiatura caotica e poco coerente con la storia, lasciando la sensazione in chi guarda che ci siano davvero troppe questioni non affrontante, o affrontate solo parzialmente. La personalità e le sfumature caratteriali e psicologiche dei personaggi, ad esempio, sono appena accennate.
La parte militaresca è più riuscita di quella civile, perché risulta più credibile e intensa sul piano emotivo e anche per ciò che riguarda il ritmo narrativo.
Kasia Smutniak nel complesso non sfigura nel difficile ruolo, dando al suo personaggio un giusto equilibrio interpretativo senza mai apparire inverosimile o eccessiva. Probabilmente, provenendo da una famiglia di militari, ha potuto sfruttare al meglio il suo background per mettere in scena con incisività la concretezza e la mentalità di un soldato. Magari un soldato più polacco che italiano, ma comunque un soldato abbastanza riuscito.
L’attrice appare invece molto meno convincente quando è in scena con Adriano Giannini. Tra i due mancano feeling, passione, alchimia artistica. La coppia non riesce proprio a trasmettere l’idea di un amore nato da una comune sofferenza. La parte romantica, che secondo l’idea degli autori dovrebbe essere la miccia che scuote entrambi i personaggi dal torpore, è sicuramente la più deludente.
Il finale, pensato come un invito alla speranza e al ritorno alla vita, nonostante la luminosa presenza della Smutniak risulta debole. Un bel sorriso non basta, se non è sorretto da personalità e carisma.
Il giudizio per Versailles: 1)Bocciato; 2)Rimandato a settembre; 3)Promosso con riserva; 4)Promosso; 5)Promosso con lode.