di Alessandra Pappalardo
Un film di Fabrizio Ferraro. Con Euplemio Macri, Catarina Wallenstein, Pau Riba, Marco Teti, Bruno Duchêne. Drammatico, 100′. Italia, 2018
Non molti sanno che il filosofo Walter Benjamin, i cui scritti hanno influenzato autori come Theodor Adorno e Hannah Arendt, tentò di fuggire dalla Francia occupata dai tedeschi per raggiungere la Spagna e imbarcarsi per l’America. Nel suo viaggio incontrò un ostacolo che gli parve insormontabile e che ne segnò l’esistenza. Con sé portava una valigia a cui teneva in modo particolare in quanto contenente i suoi ultimi scritti che non sono stati più ritrovati.
Le migrazioni forzate, ieri come oggi al centro della storia. Affronta questa tematica “Gli indesiderati d’Europa”, quinto film del regista indipendente Fabrizio Ferraro, in uscita nei cinema italiani il 24 aprile. E lo fa raccontando un episodio, poco noto, del passato.
Nel 1939 i profughi della guerra civile spagnola attraversano i Pirenei Sud-orientali in direzione della Francia. Nel 1940 lo stesso sentiero viene percorso, in direzione contraria, dagli antifascisti in fuga dalla Francia occupata. Tra di loro, il filosofo Walter Bejamin, che con il suo lavoro influenzò intellettuali come Theodor Adorno e Bertolt Brecht.
Un camminare incessante, quello dei fuggitivi, che sembra quasi eterno, rappresentato nella pellicola dalla fisicità dei passi sul terreno, dal loro suono che scandisce il ritmo di questo incedere. Un movimento che ne ricorda altri, in atto nell’Europa contemporanea.
Il rapporto uomo-natura non è proposto in chiave salvifica, ma rappresenta una dimensione di sospensione, dove la storia si ripete, passo dopo passo, incarnata da persone destinate a diventare un emblema dell’umanità indesiderata.
Il viaggio ha una valenza introspettiva e simbolica e pone degli interrogativi quanto mai attuali: riusciremo a porre fine a questo eterno ritorno della storia che sembra ripresentarsi imperterrita, mutata nelle sembianze ma non nella sostanza?