George Clooney è di certo un personaggio che non ha bisogno di presentazioni, soprattutto al London Film Festival, dove è già stato protagonista eccellente con i film “Fantastic Mr. Fox” e “Good Night and Good Luck”, che hanno rispettivamente aperto e chiuso le edizioni 2009 e 2005.
Lo screentalk, rigorosamente online e trasmesso sul canale YouTube del BFI, si apre con Edith Bowam che accoglie Clooney, in collegamento da Los Angeles, prima di ripercorrere insieme a lui le tappe più importanti della carriera dell’attore, oggi regista, sceneggiatore e produttore di successo.
Si inizia, così, a parlare del prossimo lavoro di Clooney, “Midnigth sky”, prodotto da Netflix e la cui uscita è in programma per questo dicembre. Il film è un adattamento del romanzo “La distanza tra le stelle” di Lily Brooks-Dalton che però Clooney confessa non aver letto quando ha deciso di dirigere il film.
“All’epoca non avevo ancora letto il libro. Ero stato contattato da Netflix, che mi aveva mandato il copione, e ho deciso quasi subito che volevo provare a dirigerlo. Avevo già un’idea di cosa volessi fare e avevo anche esperienza con film nello spazio, quindi sapevo bene quanto sarebbe stato complicato gestire questo tipo di ambientazione. Quello che mi ha convinto è stato soprattutto il fatto che si tratta di una storia molto intima su quello che l’uomo è capace di fare all’umanità stessa. Mi è anche piaciuta l’idea che fosse una storia di redenzione”.
“Midnight sky” è il settimo film che vede Clooney impegnato dietro la telecamera e il quinto film in cui è anche attore. Due ruoli che non sempre sono facili da gestire insieme.
“È veramente fastidioso auto-dirigersi, una delle cose peggiori che si possa fare, soprattutto perché mentre reciti devi spesso fermarti e dare istruzioni ai tuoi colleghi, che è una cosa terribile da fare tra attori. Bisogna ci sia una solida capacità di intendersi tra te e gli attori che dirigi per riuscire a fare questa cosa”.
Così come non è sempre facile, da regista e sceneggiatore, capire quali sono i ruoli migliori da assegnarsi in quanto attore.
“Quando scrissi Good night, and Good luck. avevo pensato la parte di Murrow per interpretarla io ma, da regista, mi sono accorto che non ero la persona adatta a farlo perché c’è una certa tristezza in questo personaggio che David Stretham rendeva meglio. In Midnigth sky, invece, c’erano solo pochi attori, con l’età giusta e al giusto punto nella loro carriera, che potevano interpretare il ruolo del protagonista”.
Tuttavia, ci sono anche aspetti della carriera d’attore di Clooney che sembrano essere la ricetta segreta dietro al successo di molti dei suoi film.
“Nella mia carriera d’attore ho usato molto l’improvvisazione e, uno dei punti fondamentali di questa tecnica, è rispondere sempre di sì alle situazioni che ti accadono e lavorarci intorno. In quanto regista, questo tipo di processo mi è stato molto utile, soprattutto nel caso di Midnight sky in cui, nel passaggio da libro a copione fino alla realizzazione del film, molte cose sono cambiate. Il segreto è non vedere questi cambiamenti come una maledizione ma come una possibilità. Per esempio, quando ero in Islanda per girare alcune parti del film, Felicity mi ha telefonato per informarmi della sua gravidanza e questo ha complicato un po’ le cose perché, quando poi avremmo girato le scene nello spazio, non volevo metterla a rischio sospendendola in aria con un filo, nonostante lei fosse pronta a farlo. Quando sono iniziate le riprese con Felicity, ci siamo accorti che sarebbe stato plausibile per il suo personaggio rimanere incinta dopo molti mesi nello spazio, e così abbiamo inserito questa cosa nel film e adattato le cose intorno a quella nuova situazione, trasformandola in un plus per il film”.
Un altro elemento fondamentale dello sviluppo di Clooney come regista è stato la grande abilità dell’attore di “rubare con gli occhi” dai grandi registi con cui ha lavorato, come i fratelli Cohen e Steven Soderbergh, i trucchi del mestiere.
“In quanto attore devi spesso sottostare alle decisioni del regista o dell’editor e, personalmente, mi è sempre piaciuta l’idea di avere il potere di controllare le cose. Sono stato abbastanza fortunato da lavorare con grandi registi, come i fratelli Cohen o Steven Soderbergh, da cui ho imparato che la gentilezza, caratteristica che hanno in comune, è fondamentale per rendere l’esperienza sul set gradevole. Da attore, ho sempre guardato a come questi grandi registi dirigessero, per imparare i loro trucchi del mestiere. Per esempio, i fratelli Cohen creano uno storyboard per ogni scena e lo danno agli attori prima di girare e, in modo molto curioso, questo ti aiuta molto a recitare perché tutti sanno cosa devono fare e le cose si svolgono in modo più efficiente”.
La conversazione poi si addentra sul viale dei ricordi, e George ripercorre alcuni dei suoi ruoli più iconici, da “ER” a “The Descendants”, da “Le idi di marzo” fino ad “Up in the air”. Cifra di questa straordinaria carriera sembra essere l’autoironia che appartiene a Clooney.
“Prendi il lavoro seriamente ma non prenderti sul serio. Praticamente ogni cosa del prendersi troppo sul serio è un errore, è molto meglio interpretare ruoli strani e un po’ autoironici perché sono quelli più divertenti su cui lavorare”.
Durante il racconto, il sodalizio tra Clooney e Soderbergh e i fratelli Cohen si dimostra essere un punto cruciale della carriera dell’attore.
“Quando abbiamo deciso di lavorare insieme a Out of Sight, sia io che Steven uscivamo da due flop. Stavo cercando di fare il salto dalla serie TV al cinema e le cose non stavano andando troppo bene. Mi sono incontrato con Steven a casa di De Vito e abbiamo parlato della sua idea di iniettare nelle meccaniche del grande studio cinematografico lo spirito del cinema indipendente, e forse è per questo che Out of Sight ha questo spirito bellissimo e ha ottenuto un grande successo di critica, cambiando completamente la traiettoria delle nostre carriere. Dopo questo film, i fratelli Cohen mi hanno contattato per lavorare a Fratello, dove sei?. Ero molto nervoso di lavorare con loro perché Ethan e Joel sono di quei registi la cui qualità non è mai cambiata e per questo hanno avuto una lunga fila di successi”.
In qualità di regista, invece, è stato decisamente “Good night, and good luck.” la pellicola della svolta, che dimostra il lato più politico e socialmente impegnato dell’attore.
“All’epoca in cui è nata l’idea per il film, parliamo del 2003/2004, c’erano solo alcune persone che pensavano che la guerra fosse sbagliata. Naturalmente sono tutti d’accordo ora, ma all’epoca era una cosa che si bisbigliava. Mi ricordo solo il sentimento che provai e il pensiero che la cosa più patriottica che una persona può fare è mettere in discussione il proprio governo. È una cosa in cui credevo molto e per cui ho scelto di raccontare questa storia per riflettere su un momento in cui il quarto stato ha fallito nel tenere in considerazione anche gli altri stati sociali. Volevo anche che il film fosse un tributo ai nostri eroi di guerra e a mio padre”.
Lo screentalk si conclude con alcune domande personali, in cui Clooney racconta dei suoi eroi, Paul Newam e Gregory Peck, che gli hanno insegnato tanto quanto a integrità e impegno per le cause giuste, anche fuori dal set. In ultima battuta, prima di lasciarci, Clooney riassume un po’ il suo essere attore, regista e scrittore in un bellissimo messaggio.
“Io sono una persona fortunata, ho realmente vinto il Jackpot. Vengo dal Kentucky dove tagliavo tabacco per una paga molto bassa e, prima di affermarmi come attore, ho passato quindici anni ad accettare qualsiasi ruolo in qualsiasi set. Se però una persona è così fortunata da arrivare a un punto in cui può scegliere in che progetto impegnarsi e riesce a entrare nel sistema, bisogna essere felici e celebrare questa cosa”.