“Gemini Man”: quando la sperimentazione genera mostri

Ang Lee si concentra sul lato visivo del progetto, realizzando una pellicola povera di emozioni

Un film di Ang Lee. Con Will Smith, Mary Elizabeth Winstead, Clive Owen, Benedict Wong, Ralph Brown. Azione, 117′. USA 2019

Henry Brogan è il miglior sicario in circolazione. Per questo la Defense Intelligence Agency, servizio segreto americano, non rinuncia mai ai suoi servigi. A 51 anni Henry coltiva sempre più dubbi sulla vita condotta sino a qui e, dopo l’ultimo incarico, decide di smettere i panni del killer governativo. Ma i suoi superiori non si fidano e gli mettono alle costole degli agenti, fino a ricorrere al migliore di tutti, straordinariamente simile nelle fattezze proprio a Henry Brogan.

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Action-thriller di stampo cospirazionista, “Gemini Man” di Ang Lee contrappone Henry (Smith), il miglior sicario in circolazione, al soldo dei servizi segreti a stelle e strisce, a Junior, un clone creato partendo dallo DNA dell’uomo stesso venticinque anni prima, che ne rirpopone i punti di forza senza però il peso di un bagaglio emotivo…

Ang Lee sembra voler riunire in un unico film le tre preoccupazioni che hanno, per anni, caratterizzato i suoi film: la distinzione tra nature (le qualità innate dell’individuo, la sua eredità biologica) e nurture (i fattori esterni, l’ambiente), l’alienazione dell’uomo, le possibilità del cinema nell’era digitale.

Ma anche se tutti e tre gli aspetti sembrano venire toccati, “Gemini Men” si rivela più che altro un progetto impenetrabile. Il regista si è concentrato sull’aspetto visivo, sulla sperimentazione, finendo però per tenere il pubblico a distanza dalla storia. Quello che ci troviamo davanti sembra più un progetto per una fiera hi-tech che un film, per come noi lo conosciamo!

Presi a se stanti l’umorismo, le sequenze d’azione, i colpi di scena e la recitazione (almeno quella di Will Smith, Mary Elizabeth Winstead e Benedict Wong) funzionano. Purtroppo è quello che si ottiene unendoli a essere deludente.

La sceneggiatura è debole: una volta che lo shock iniziale dato dal colpo di scena si è esaurito, le conversazioni rivelatrici sono accompagnate da una totale mancanza di tensione. Tutto è al servizio dell’estetica, troppo al suo servizio.

“Gemini man”, insomma, non è un film, ma piuttosto un esperimento su quello che il cinema potrebbe diventare in futuro. Un successo per la tecnologia, magari, ma sicuramente non per gli occhi – e il cuore – di chi guarda.

 

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Federica Rizzo
Campana doc, si laurea in scienze delle comunicazioni all'Università degli studi di Salerno. Internauta curiosa e disperata, appassionata di cinema e serie tv, pallavolista in pensione, si augura sempre di fare con passione ciò che ama e di amare fortemente ciò che fa.

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