Gay Pride: perché giugno è il mese dell’orgoglio arcobaleno

A Roma la grande parata si terrà il 9 giugno. E per la prima volta, l'evento arriva anche in Antartico

di Federico Asciutto

 

Giugno è il mese del Pride (a Roma, come in molte altre città del mondo, la grande parata dell’orgoglio gay si terrà il 9 giugno) e per questo, oggi più del solito, si sente la necessità di fare informazione, di creare cultura affinché parole come parità di diritti e rispetto non restino solo parole, ma si trasformino in sentimenti vivi che vincano l’ignoranza una volta per tutte.

D’altronde è già successo, in passato. Basti pensare alle leggi razziali negli Stati Uniti del XVII secolo, che vietavano la mescolanza, proibivano i matrimoni misti, e vennero abrogate dopo la fine della Seconda guerra mondiale; oppure al divorzio, introdotto a livello legale in Italia a partire dal 1 dicembre 1970. In entrambi i casi furono necessari anni di battaglie e manifestazioni, per far sì che la legge – e la mentalità corrente – cambiassero.

E nonostante i successi, il nostro mondo resta imperfetto. L’uomo bianco eterosessuale viene in diversi contesti considerato superiore rispetto alle donne, a chi ha un colore di pelle diverso o un diverso orientamento sessuale.

Il Pride nasce per combattere quest’ultimo tipo di discriminazione, per celebrare l’orgoglio gay e per tenere viva la memoria dei moti di Stonewell, iniziati il 27 giugno 1969 e andati avanti per tre giorni, con gli scontri sempre più violenti tra la polizia di New York e i manifestanti del movimento gay nel Greenwich Village, a Manhattan.

Ogni anno sempre più città nel mondo vengono attraversate dalla manifestazione arcobaleno, e nel 2018 il Gay Pride acquista una dimensione ancora più globale: per la prima volta l’evento toccherà anche l’Antartide, tra pinguini e ghiacciai, per iniziativa di un gruppo di 133 ricercatori presenti a McMurdo, la più importante stazione di ricerca degli Stati Uniti nell’area.

Perché nessun luogo è troppo sperduto o isolato per non avere voglia di gridare la propria unicità, il proprio diritto a essere, semplicemente, quello che siamo.