“Figlia mia”: un’opera che esplora il mistero della maternità

Valeria Golino, Alba Rohrwacher, una Sardegna selvaggia e desolata nell'opera seconda di Laura Bispuri

Un film di Laura Bispuri. Con Valeria Golino, Alba Rohrwacher, Sara Casu, Michele Carboni, Udo Kier. Drammatico, 100′. Italia, Svizzera, Germania, 2018

Ambientato nella Sardegna contemporanea, sulla costa occidentale, è la storia di una bambina di 9/10 anni che vive un’esistenza tranquilla con il papà e la mamma: è felice e ha un rapporto molto forte con la madre, ma sente che qualcosa non torna. Per una serie di vicende inizia a frequentare una donna che abita a 3 km di distanza da casa, in aperta campagna, e instaura con lei un rapporto fortissimo. Scoprirà che è la sua vera madre. Così nasce un triangolo, tra la bambina e le sue due mamme.

 

Bedda matri – altro che figlia mia… Potremmo riassumere così la reazione dello spettatore medio, anche di quello non siciliano d’origine, alla fine della seconda pellicola diretta da Laura Bispuri e presentata in concorso alla 68° edizione del Festival del cinema di Berlino.

Per raccontare la maternità e tutto il complicato mix di responsabilità e preoccupazioni che questa condizione porta con sé – tema che non passa mai di moda, con le varianti oggi della maternità surrogata, delle adozioni da parte di coppie dello stesso sesso, e via dicendo – c’è modo e modo.

Ma di fronte a “Figlia mia” e al suo intreccio, probabilmente anche il biblico Re Salomone avrebbe difficoltà a pronunciarsi. Il quesito, riproposto ormai diverse volte dal cinema e dalla tv, è il seguente: madre è chi mette al mondo un figlio, oppure chi lo cresce? L’attaccamento filiale è una questione di sangue, oppure di quotidianità condivisa, di piccoli momenti passati insieme indipendentemente da quello che recita il codice genetico?

Se c’è un elemento che il film della Bispuri mette bene in evidenza, al di là della storia di donne, è come i bambini abbiano perso qualsiasi forma di guida. Non c’è più spazio per vivere un’infanzia dorata e serena. Oggi sembra che per crescere si possa fare affidamento solo su noi stessi.

“Figlia mia” è ambientato in una Sardegna bella quanto selvaggia e desolata, che diventa, grazie a una fotografia calibrata e calda quasi una quarta protagonista. Le altre tre – tutte donne – sono Tina (Golino), Angelica (Rohrwacher) e Vittoria (Casu), che si muovono, si annusano, si odiano in questa cornice ambientale che riflette le dinamiche del loro rapporto.

Per dieci anni le tre hanno vissuto come dentro una bolla, escludendo la realtà. Tina ha coronato il proprio sogno di essere madre; Angelica, vittima di se stessa e dei suoi vizi, ha potuto contare su un sostegno, a costo di una dolorosissima rinuncia. Vittoria, però, nonostante tutto, ha sempre avuto la sensazione di non appartenere completamente alla sua famiglia.

Paradossalmente, se il film della Bispuri delude sul versante emotivo è per via della sceneggiaturapoco lineare e incisiva, con le protagoniste che peccano quanto ad approfondimento psicologico e passato – e della regia – stilisticamente bella, ma poco coinvolgente e autoreferenziale.

Alba Rohrwacher colpisce più delle altre, alla prova di un personaggio molto distante da quelli a cui ha abituato il pubblico. La sua Angelica è selvaggia, sensuale, tosta, un’ubriacona, una lavativa. Eppure quella aura da attrice sofisticata e colta non riesce a svanire del tutto, e questo la rende a tratti quasi caricaturale.

Valeria Golino eccede nei toni e nella gestualità, finendo per risultare poco naturale e poco credibile. L’esordiente Sara Casu merita un plauso per aver condiviso senza timore e con personalità la scena con due veterane.

“Figlia mia” è sicuramente una pellicola bella da vedere, ma il minuto dopo che si è lasciata la sala la storia e i personaggi iniziano inesorabilmente a svanire dalla memoria. Un film, insomma, che lascia poche tracce.

 

Il biglietto da acquistare per “Figlia mia” è:
Nemmeno regalato. Omaggio. Di pomeriggio. Ridotto. Sempre.