Un film di Annarita Zambrano. Con Barbora Bobulova, Giuseppe Battiston, Orfeo Orlando, Fabrizio Ferracane, Charlotte Cétaire. Drammatico, 100’. Francia 2017
In seguito all’omicidio di un professore universitario in un agguato terrorista, Marco, ex-militante di estrema sinistra condannato all’ergastolo e rifugiato in Francia grazie alla dottrina Mitterrand, è accusato dallo Stato italiano di essere uno dei cervelli dell’attentato e ne viene chiesta l’estradizione. Decide allora di non consegnarsi ma di trovare il modo di fuggire in America Latina con la figlia Viola adolescente. In Italia sua madre, la sorella e il cognato magistrato finiscono al centro dell’attenzione mediatica.
Auto sulla folla. Estremisti che si fanno esplodere a un concerto o sparano dentro un locale. Morti innocenti sulle strade. Autorità che parlano ai microfoni di innalzate misure di sicurezza, che però non sempre danno i risultati sperati.
La realtà del 2018 è questa, e uno degli elementi più sconcertanti è che a poco a poco ci sta diventando familiare, tanto da non sorprenderci più come le prime volte quando il Tg o i social ci riportano qualche notizia.
Ci stiamo abituando al nuovo clima di terrore che ci circonda, dove prendere un autobus, mangiare al ristorante, andare a un concerto sono azioni rischiose, che potrebbero trasformarci in bersagli.
L’Italia, rispetto ad altri paesi europei meno abituati a questo nuovo tipo di guerra, ha già vissuto in passato sulla propria pelle gli anni del terrorismo rosso e nero, piangendo vittime innocenti oltre che servitori dello Stato brutalmente uccisi perché colpevoli di adempiere al proprio dovere.
Le Brigate Rosse sono state sconfitte grazie all’impegno e alla collaborazione tra forze dell’ordine e politica, che non hanno avuto timore di usare in certi casi anche il pugno duro, ma molti degli uomini e delle donne che scelsero la lotta armata come mezzo per esprimere il proprio dissenso politico sono riusciti a evitare il carcere, rifugiandosi in Francia.
Poterono contare in questo senso sull’appoggio dell’allora Presidente Francois Mitterrand, che volle considerare i terroristi italiani come militanti politici, meritevoli di asilo e di protezione.
La dottrina Mitterrand, pur non essendo mai diventata una legge, è stata confermata e applicata fino al 2002, quando il presidente Sarkozy fece cadere questa “consuetudine normativa”, riaprendo una pagina dolorosa e complessa della nostra storia.
“Dopo la guerra” di Annarita Zambrano inizia con un vibrante dibattito tra un professore universitario e i suoi studenti. Costretto a lasciare l’aula per una contestazione, l’uomo viene brutalmente ucciso da due giovani, in un modo che ricorda da vicino il modus operandi delle Brigate Rosse.
Nel corso dell’indagine che segue all’omicidio, la magistratura italiana chiede l’estradizione dalla Francia di Marco (Battiston), un brigatista fuggito ormai da vent’anni. L’uomo non ha però nessuna intenzione di tornare in patria e trascina la figlia Viola (Cétaire) in un tentativo disperato di fuga per evitare l’arresto.
“Dopo la guerra” racconta una storia già vista, ma lo fa, almeno, introducendo due novità. La prima è la scelta di ampliare la prospettiva del racconto, includendo non solo Marco ma anche la sua famiglia d’origine, rimasta in Italia. La seconda è mostrare quanto il peso del passato dell’uomo condizioni il futuro di Viola, che si ritrova coinvolta, senza possibilità di esprimere il suo dissenso.
Nonostante questi due spunti, il film fatica a catturare lo spettatore. Annarita Zambrano ha mostrato discrete potenzialità come regista e autrice, ma la sua capacità nel raccontare questo delicato passaggio storico è apparsa insufficiente.
Meritevole di menzione l’interpretazione dell’esordiente francese Charlotte Cétaire, che risulta convincente e credibile nel ruolo di Viola.
“Dopo la guerra” è un film dignitoso, apprezzabile nelle intenzioni ma mancante di quel quid registico o interpretativo tale da permettergli di fare il salto di qualità.
Il finale è sicuramente la parte più bella, forte e riuscita, e nonostante la sua tragicità apre nello spettatore la speranza che si possa in futuro riuscire a girare pagina, confidando nelle nuove generazioni.