di Antonietta Mirra
Di fronte al successo letterario e cinematografico delle grandi saghe distopiche, sono tante le domande che addetti ai lavori e non si pongono. Questo fenomeno già da diversi anni ha ripreso a coinvolgere moltissime persone, che sembrano amare queste realtà così fantascientificamente costruite e distanti dalla situazione attuale.
Ma dunque, per quale motivo la distopia va così di moda?
Nel mese scorso, a Washington, un team di esperti costituito dal direttore dell’ufficio innovazione della DARPA, dall’autore di Futurama, dalla fondatrice di SyFy Channel e dalla chief scientist della NASA, sì è riunito, insieme a professori, scrittori e giornalisti per affrontare il tema di come la fantascienza possa aiutarci a creare un futuro migliore per chi verrà dopo di noi e abiterà la Terra.
Il dibattito è iniziato riflettendo sulle argomentazioni contenute in un articolo del 2011 di Neal Stephenson, nel quale lo scrittore americano sottolinea come la fantascienza sia cambiata e quanto, negli ultimi tempi, essa si concentri molto di più su storie terribilmente cupe, dove sono lo scetticismo e l’amoralità a prendere il sopravvento. La distopia, quindi, è ciò che affascinare maggiormente, la chiave di lettura per comprendere a pieno tutte le storie. Sono violenza e oppressione a farla da padrone sulla pagina scritta.
Secondo Michael Solana, la fantascienza riveste oggi un ruolo di primo piano nell’immaginario collettivo, e questa considerazione è anche avvalorata dai numerosi film dove ci si imbatte in scenari futuristici nei quali, però, non c’è mai una visione positiva della tecnologia. Perché? Stevenson sostiene che la gente sta perdendo la fede nelle possibilità dello sviluppo futuro, ed ecco che la distopia accresce il proprio fascino. In altre parole, i progressi tecnologici non sono più un’aspirazione positiva, ma bensì qualcosa di cui bisogna temere l’avvento. Ed è proprio per questo che la distopia non ci aiuta ad attendere il futuro con speranza, ma ci costringe a temerlo, quasi, pregando che non si realizzi mai.
Se pensiamo alle storie che oggi vanno per la maggiore, non possiamo non considerare i due grandi successi mondiali rappresentati da Hunger Games e Divergent, due saghe Young Adult che hanno riportato il genere distopico alla ribalta. E pensare che fino a qualche anno fa, il genere YA era associato solo a pseudo vampiri che luccicano alla luce del sole o a lupi che si trasformano senza dolore. Oggi, invece, questo segmento della narrativa si arricchisce con una serie di storie che mostrano personaggi più umani e “normali”, che vivono in mondo simili al nostro, ma con caratteristiche profondamente differenti e sbagliate.
La trasposizione cinematografica ha giovato a queste storie, consacrandole definitivamente come successi planetari. “Hunger Games”, ad esempio, è diventato un vero e proprio marchio, complice anche un cast di attori conosciuti e amati – come la protagonista, la splendida Jennifer Lawrence.
Qualcuno è arrivato a chiedersi se l’input per scrivere storie come queste sia lo stesso che ha mosso George Orwell quando ha firmato un capolavoro del calibro di “1984”. Ma è possibile trovare una risposta per una domanda come questa? Si possono paragonare due momenti storici così distanti l’uno dall’altro come la fine della Seconda guerra mondiale (il libro di Orwell è uscito nel 1949 ed è stato scritto nel 1948) e il presente?
Le distopie figlie della nostra epoca e quelle “classiche” hanno diversi elementi in comune: un sistema oppressivo travestito da pacificatore, un/una protagonista ribelle, un futuro non troppo lontano che per questo i lettori possono sentire come realistico. Ecco che i tasselli vanno a incastrarsi perfettamente ognuno al proprio posto, ecco spiegato il fascino di queste storie, che sembrano inserirsi perfettamente nella crisi attuale.
La fantascienza moderna ha perso il sotto-testo profondo e riflessivo che permeava le pagine di opere come quella di Orwell? Probabilmente sì, ma è anche vero che la distopia, oggi, non solo viene raccontata in best-seller amati in tutto il mondo e in pellicole che riempiono le sale, ma può anche essere considerata come qualcosa di estremamente utile, se si evita di concentrarsi esclusivamente sul clima di oppressione, morte, violenza e lotta per sopravvivere che molto spesso sono elementi portanti.
Lo scrittore Ramez Naam considera le distopie un ottimo avvertimento, utile a mettere in guardia le persone ed evitare, forse, che il nostro mondo subisca una deriva. E dunque, come sempre avviene, non serve esaltare il filone fantascientifico ottimista e denigrare quello dispotico più cupo, perché la verità molto spesso si trova nel mezzo. Non dimentichiamolo.