“Chat en poche”: uno spettacolo perfetto, tutto ritmo e crudeltà

Al Teatro Porta Portese di Roma lo spettacolo di George Feydeau, diretto da Anna Cianca

di Luciaconcetta Vincelli

 

Uno spettacolo di George Feydeau. Regia di Anna Cianca. Con Nunzia Fabrizi, Enrico Catani, Giovanni Sansonetti, Cristina Finocchi, Antonio Gallelli, Alessia Filiberti, Giulia Sanna, Dario Cannizzo, Piergiorgio La Rosa.

 

A scatola chiusa, questo sabato sera, mi addentro nello stretto spazio del Teatro Porta Portese, per assistere all’ennesimo spettacolo della regista Anna Cianca, questa volta ispirata da “Chat en poche” e dal suo autore francese George Feydeau.

Siamo tutti lì, in una strabordante fila, a scegliere, a scatola chiusa, l’Arte, come gli spettatori della prima rappresentazione, nel 1888, al Théâtre Déjazet. Entriamo per alienarci e, invece, ci ritroviamo nella realtà, immersi nello sconforto che la meritocrazia non esiste nemmeno qui, a teatro, e che persino l’Arte spesso è sostituita da interessi economici.

Monsieur Pacarel non si accontenta della ricchezza: ora desidera conquistare anche la Fama, al Teatro dell’Operà. Acquista il tenore più preparato, un giovane che, poi, si rivelerà essere un semplice studente di legge, figlio di un amico. Prenderà il via una serie di malintesi, che scandiscono l’intera vicenda, che si sviluppa così su due binari.

Da una parte l’assurda scena, l’alternarsi di qui pro quo infiniti. Dall’altra, il perfetto personaggio di Madame Devache, che dall’alto della sua sedia a rotelle e del suo acuto sguardo da cieca ricostruisce ogni volta per noi un commento realista.

Così, in un primo momento, restiamo coinvolti nel virtuosismo del linguaggio che Feydeau utilizza per scandire i dialoghi dei personaggi, una mancanza d’ascolto sottolineata dalla regista con l’isolamento di battute e momenti nella scena stessa. Tutti i personaggi sono concentrati in velocità e precisione per la fuga dal malinteso, senza speranza.

Un malinteso, che, in realtà, sembra stare stretto in tale definizione, poiché, come spiega Madame Devache, “non si vuole vedere la verità che si ha di fronte”. Pacarel vuole diventare famoso, come si direbbe oggi, calpestando, dopo averlo utilizzato, il merito altrui, accentrando tutto su di sé, non sulle sue qualità, bensì esclusivamente sul suo potere.

Tutti i personaggi di Feydeau si rivelano pian piano avidi, egoisti, tetri nella loro presunzione già nella resa dei costumi e del trucco, quasi richiamando la te(a)traggine della famiglia Addams.

È una mise en scène perfetta, dunque, fatta di ritmo, assurdità in play back e crudeltà nel comico evidenziata in scene slow motion a luce rossa. Da tutto questo però il merito sembra affacciarsi nella vera hall of fame, anzi, esplodere nella sua affermazione, come nella impeccabile performance del vero tenore di casa, il maggiordomo, che l’attore Enrico Catani riscatta in pieno, a suon di musica. Capiamo così che (almeno) la scatola imprevedibile dell’Arte, “non è in vendita”.