Ibrido. Eccessivo. Sbilanciato
Personalmente preferisco i romanzi storici puri – quelli dove la storia è tutta ambientata nel passato – a quelli ibridi – che uniscono passato e presente, con due piani temporali e narrativi distinti, e una trama trasversale che unisce solitamente il primo con il secondo.
Ma ci sono anche delle eccezioni alla regola. La trilogia di Kathleen McGowan – “Il vangelo di Maria Maddalena”, “Il libro dell’amore”, “La stirpe di Maria Maddalena” – è tra le cose più belle che abbia mai letto, quindi conquistarmi non è impossibile.
Ebbene nonostante fossi molto curiosa su questo romanzo ambientato in parte nella mia bella Siena, “Caterina della notte” di Sabina Minardi è stato una delusione completa e, almeno questo gli va riconosciuto, sia nella parte storica che in quella contemporanea. Una delusione che il miglioramento che si incontra sul finale non è servita a mitigare.
Partiamo dalla seconda. Qui il problema è aver voluto inserire troppi elementi, o meglio, suggestioni da troppi generi.
La protagonista Catherine riceve un misterioso manoscritto, che racconta dello Spedale del Santa Maria della Scala alla fine del 1300, e che la spinge a partire per Siena alla riscoperta delle sue origini – nonostante infatti la protagonista sia sempre vissuta a Londra, il padre che l’ha cresciuta e la madre morta quando era bambina erano entrambi originari della Toscana.
Trama lineare, romanzo di formazione con inserti di mistery. Mi spiegate allora il senso di inserire rimandi al genere erotico? Di dipingere con precisione gli incontri sessuali della protagonista, il suo modo di vedere gli uomini e le relazioni, nelle prime pagine e anche nel proseguo? La scelta sa tanto di occhieggiata a uno dei generi più di moda del periodo, perché davvero ha poco senso a livello di trama.
Il personaggio di Catherine, poi, non mi ha convinta fino in fondo, a partire dall’età e dal suo modo di ragionare, vedere la vita e via dicendo. Sto per finire 30 anni ed effettivamente non mi sento mentalmente troppo diversa da quando ne avevo 20, quindi questo depone a favore del personaggio della Minardi.
Però da una quasi 40enne ci si aspetterebbe uno spessore diverso, un carattere diverso. Catherine ragiona e agisce come una 20enne, come una ragazzina, come una che non ha esperienze. È un personaggio strano, che per quanto si tenta di sfaccettare risulta comunque poco credibile.
Che dire poi del viaggio a Siena, dell’incontro con il professore e del finale… ho trovato tutto troppo costruito, e sbilanciato come costruzione – lento fino alla penultima pagina e poi frettolosissimo.
Se il presente non mi ha convinta, il passato è stato la delusione maggiore.
Prima di tutto lo stile. Ok che la voce narrante, tal Giovanna da Fontebranda detta Nanna, viene presentata come una donna colta, fatto strano per l’epoca ma non impossibile. Però il suo dettato è davvero troppo ampolloso, ricercato, poetico. Nelle pagine del romanzo che Catherine legge non c’è forza espressiva, non c’è mimesi. Non sembra di aver davanti una storia del Trecento, ma l’ennesimo romanzo contemporaneo.
I fatti vengono raccontati troppo in fretta, e si da troppo spazio alle sofferenze di Giovanna a discapito di tutto il resto. L’ambientazione, per quanto intrigante, non coinvolge.
Va detto che qui le cose migliorano con il passare delle pagine. E se la protagonista resta sempre un po’ troppo, almeno il suo racconto si fa via via più coinvolgente. Alla fine la curiosità di sapere chi è, per quale peccato è stata costretta a una vita di dimenticanza dentro il Santa Maria al lettore viene.
Un paragrafo a parte lo merita Caterina da Siena – dottore della Chiesa, patrona d’Italia e d’Europa – e l’immagine che di questo personaggio emerge dalle pagine.
Che non fosse uno stinco di santa, permettetemi il gioco di parole, è cosa nota, che fosse mistica ai limiti dell’esaltazione pure. Qui però l’autrice ha a mio avviso calcato troppo la mano, rimandandoci l’idea di una pia donna senza umanità, così presa dalla sua missione e dal suo amore per Cristo da non avere tempo per altro. Anche quando si parla del suo servizio agli altri, questa Caterina sembra distante, distaccata, altrove.
Insomma, le premesse erano buone, tutto il resto da dimenticare. Catherine torna a Siena e scopre, naturalmente, i segreti che doveva scoprire – in due pagine conclusive, di botto, senza modo o tempo di approfondire. Ma il tutto si perde in uno stile ampolloso, e nella noia complessiva.