Non mi sono mai vergognato del mio status di diversamente ignorato, che anzi credo di portare ormai con una certa grazia, come un cappotto pesante in agosto.
Sono anche convinto che, prima di insegnare a scuola una moltitudine di lingue straniere come va adesso tanto di moda, i giovani dovrebbero padroneggiare a dovere l’italiano – sì anche quelle “cose” che sembrano passate di moda di nome congiuntivi.
Da quando ho intrapreso la “carriera” di inviato in giro per i festival diciamo che le mie convinzioni sono diventate un po’ meno granitiche… Bello l’italiano, certo, ma quanto è importante l’inglese, almeno nel mondo del cinema internazionale!
Alla fine di ogni proiezione stampa in lingua originale provo sempre l’angosciante sensazione di aver preso lucciole per lanterne, e aspetto con ansia, al buio, la reazione dei colleghi esperti, quella che si manifesta spontanea solo a pochi secondi dalla fine del film. Fischi, oppure applausi.
Solo in quel momento posso valutare se, la mia visione delle immagini con scarsissima comprensione delle battute, si è tradotta in un giudizio corretto sull’essenza della pellicola oppure no.
Non sarebbe lo stesso leggere qualche recensione altrui, così, a titolo esemplificativo? Neanche per idea! Perché dovete sapere che una volta usciti dalla sala i critici cinematografici tornano a indossare la maschera dei professionisti, talvolta dei bugiardi cronici.
Ebbene sì, amici lettori: non è detto che al giornalista di professione sia dato di scrivere ciò che realmente pensa. Così vi potrà capitare di leggere articoli entusiastici – o quanto meno moderatamente positivi – di film che in realtà non sono questa gran meraviglia. È l’arte della mediazione, bellezza.
Io, giornalista dilettante e inviato nerd, posso invece permettermi di dire ciò che penso, anche quando questo va contro la massa e i giudizi diffusi. Unico censore, il mio caporedattore – che però condivide la massima de la verità prima di tutto. È uno dei lati positivi del “dilettantismo”.