“Caminito”: recensione del romanzo di Maurizio De Giovanni

A cinque anni da "Il pianto dell'alba", torna il commissario Ricciardi nella Napoli del 1939

Se negli anni avete letto le mie recensioni saprete che sono una grande ammiratrice degli autori che riescono a dire basta a una serie, se questa ha oggettivamente fatto il suo tempo. Ci sono però delle eccezioni alla regola. E Maurizio De Giovanni e i gialli del commissario Ricciardi rientrano tra queste!

Quando nel 2019 uscì per Einaudi “Il pianto dell’alba, insieme alla notizia che sarebbe stato l’ultimo capitolo della serie, ho provato una grande tristezza. Perché nonostante si trattasse del dodicesimo volume, non ero pronta a lasciar andare questa storia. Perché pensavo ci fosse ancora molto da dire, che il suo potenziale negli anni non si fosse minimamente deteriorato – un lettore meno “innamorato” di questi personaggi forse potrebbe pensarla in modo diverso, de gustibus

Ed ecco, a soli 3 anni di distanza da quel commiato, arrivare Caminito, un regalo di Natale in anticipo, almeno per me. Perché non solo segna il ritorno di Ricciardi, Maione, Modo e di tutti gli altri, ma non è nemmeno ambientato a vent’anni dal primo ciclo, come l’autore aveva immaginato all’epoca del ritiro, ma a soli cinque – e questo apre interessanti scenari per il futuro. 

È il 1939, sono trascorsi cinque anni da quando l’esistenza di Ricciardi è stata improvvisamente sconvolta. E ora il vento d’odio che soffia sull’Europa rischia di spazzare via l’idea stessa di civiltà. Sull’orlo dell’abisso, l’unico punto fermo è il delitto. Fra i cespugli di un boschetto vengono ritrovati i cadaveri di due giovani, stavano facendo l’amore e qualcuno li ha brutalmente uccisi. Le ragioni dell’omicidio appaiono subito oscure; dietro il crimine si affaccia il fantasma della politica.

Con l’aiuto del fidato Maione – in ansia per una questione di famiglia – Ricciardi dovrà a un tempo risolvere il caso e proteggere un caro amico che per amore della libertà rischia grosso. Intanto la figlia Marta cresce: ormai, per il commissario, è giunto il momento di scoprire se ha ereditato la sua dannazione, quella di vedere e sentire i morti.

La premessa credo lo abbia già chiarito: io personalmente non mi stancherei mai di leggere le storie di questi personaggi! Al di là della componente gialla, infatti, che di volta in volta rappresenta un “piacevole” intermezzo e riempitivo, sono le vite e le vicende personali di Ricciardi, Maione e delle rispettive famiglie quelle che conquistano davvero. 

Il periodo storico si fa più fosco, e lo spettro della guerra (che dall’alto della nostra onniscienza sappiamo già che si concretizzerà e in che termini) si profila all’orizzonte. Siamo nel 1939 e se Bruno Modo continua, non senza rischi, la sua attività anti-fascista, il commissario preferisce non prendere posizione e dedicarsi al suo lavoro e alla figlia Marta, che adesso ha cinque anni. Razionalmente non possiamo non pensare, come il dottore, che sia un pavido, ma oggettivamente… 

Livia Luciani, invece, ha lasciato l’Italia e cambiato nome per provare a ricominciare a New York. Ho sempre apprezzato questo personaggio, e le parti che le sono dedicate, per quanto brevi, non le ho trovate melense o ridondanti, ma semplicemente perfette. Un racconto nel racconto, che ci lascia con la speranza di un futuro ritorno e comunque con la curiosità di sapere come si evolveranno le cose. 

Cos’altro aggiungere. La penna di De Giovanni è come di consueto poetica e pungente, capace di descrivere le bellezze naturali e cittadine della Napoli di fine anni ’30 e un attimo dopo di parlare di fatti di sangue, vendetta e violenza con un realismo devastante. Bello e brutto, amore e morte sono i cardini di queste storie, che si leggono con piacere e lasciano sempre un ricordo indelebile.